La seconda ondata della pandemia e i conseguenti provvedimenti di parziale lockdown sono un duro colpo anche per l’Italia, tutta, ma un po’ di più per l’Italia che non può permettersi lo smart working, il lavoro agile da casa.
Eppure ci arriviamo non colti completamente di sorpresa e con qualche esperienza in più. Ma soprattutto, se le buone notizie di ieri pomeriggio saranno confermate con il successo dei test condotti da Astra Zeneca su volontari anziani, i primi vaccini potranno arrivare in Italia già a dicembre (2-3 milioni di dosi) per poi progressivamente fino a coprire tutta la popolazione entro giugno 2020. La sperabile certezza di un lieto fine seppur tra qualche mese avrebbe la forza di dare spinta e dinamismo importanti all’economia già ora stimolando progetti, piena ripresa di attività e d’investimenti. Si tratta di resistere ancora alcuni mesi.
Nel marzo scorso, all’inizio della prima ondata, anche chi scrive questa nota contribuì a un appello che indicava nella 'via coreana' la migliore per affrontare il Covid-19. Tamponi di massa e tracciamento per individuare i focolai e isolarli frenando la crescita della pandemia. La Corea, uno dei primi Paesi investiti dalla pandemia, ieri registrava 77 casi e 2 morti e ha 9 decessi per milione di popolazione contro i nostri 613. Si rispose allora che logisticamente non potevamo farcela. Il problema non era soltanto logistico. Il perinde ac cadaver (obbedire ciecamente e allinearsi disciplinatamente a un ordine dall’alto) non fa parte delle caratteristiche della nostra cultura diffusa e il gusto della dialettica e della polemica rendono molto difficilmente applicabili soluzioni drastiche. Nei mesi successivi, di fatto, siamo andati comunque in quella direzione ma molto, troppo lentamente.
Un altro punto chiave sollevato più volte è che l’epidemia, per quanto più aggressiva ovunque, non è la stessa nelle diverse Regioni. Come tutti sappiamo dipende in modo cruciale dagli incontri tra persone in proporzione alla loro carica virale ed è influenzata da fattori come l’inquinamento dell’aria che aggrava gli effetti respiratori e polmonari del virus (in pochi mesi, le evidenze scientifiche di questo fatto si sono moltiplicate).
Fondamentale è stata anche la difficoltà dei medici di base di curare i contagiati prima di congestionare gli ospedali. Questi tre fattori spiegano perché una Regione come la Lombardia che ha circa il 17% della popolazione italiana, ma il più basso numero di medici di base per abitante, il più alto flusso di pendolarismo per motivi di studio e lavoro e i livelli più alti di polveri sottili ha a tutt’oggi il 46% dei decessi.
Come ben sappiamo l’effetto della pandemia non è lo stesso se consideriamo le diverse fasce d’età della popolazione perché la stragrande maggioranza delle terapie intensive e dei decessi riguardano la popolazione più anziana e afflitta contemporaneamente da più patologie diverse. I dati della seconda ondata inoltre sono molto diversi da quelli della prima. Il numero molto più elevato di tamponi e dunque l’identificazione di moltissimi asintomatici ha portato il tasso di letalità (se guardiamo con una fotografia statica al rapporto tra totale contagiati e decessi) sotto l’1%. Le variazioni di questi giorni ci dicono che su 100 nuovi contagi ci sono all’incirca 5 ricoveri, 0,5 decessi e 0,5 terapie intensive. Questo dato 'statico' non può però tranquillizzare perché, come dice la parola stessa, l’ondata epidemica è per sua natura non lineare ed esponenziale nella prima fase, perciò dobbiamo assolutamente frenarla per poter innestare di nuovo la parabola discendente.
La pandemia ci sta dividendo molto anche nel dibattito pubblico e sui social. Più che dividersi in 'negazionisti' e 'catastrofisti', l’Italia si divide in realtà tra persone che possono permettersi di stare (lavorare) a casa e persone che non possono e che se non possono lavorare fuori casa non lavorano proprio.
In questa seconda ondata dobbiamo imparare ad aiutare meglio questi secondi, che non sono un’Italia secondaria, ma primaria tanto quanto l’altra. Abbiamo sperimentato una serie importante di anestetici e antidolorifici che aiutano a far sopravvivere il paziente in un momento in cui la vita sociale ed economica arriva a una parziale paralisi (finanziamento della cassa integrazione, reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, garanzie statali sui prestiti bancari, moratoria sui mutui, bonus per gli autonomi e molto altro). Abbiamo la fortuna di vivere la tempesta della pandemia sotto un riparo ampio e sicuro che è quello della Banca centrale europea che sta mettendo in campo strumenti e misure formidabili e apprezzate dai mercati finanziari (l’emissione di titoli Ue per finanziare le misure degli Stati membri di protezione del lavoro ha avuto qualche giorno fa una domanda 14 volte superiore all’offerta concludendosi a tassi negativi).
A questi strumenti manca però un tassello fondamentale che è quello del condono del debito pubblico in eccesso creato dalla pandemia da parte della Bce che lo detiene già in larga parte (come spiegato il 14 ottobre scorso nell’editoriale «Questi debiti da rimettere»: tinyurl.com/yygb4hz5). Se è vero come ha efficacemente sottolineato papa Francesco anche nell’ultima enciclica Fratelli tutti che siamo davvero tutti sulla stessa barca, e ci siamo scoperti sempre più interdipendenti e bisognosi gli uni degli altri, è anche vero che sulla barca qualcuno ha stanze di lusso e altri viaggiano sottocoperta. Il nostro governo che ha avuto il merito di contribuire a creare le migliori condizioni possibili per i passi avanti nella cooperazione europea e ha fatto il possibile a livello nazionale deve ora riuscire a tenere in giusta considerazione le diverse condizioni di tutti i passeggeri di un nave che, dopo la parziale bonaccia estiva, sta affrontando nuovi venti di tempesta.