Recep Tayyp Erdogan continua implacabile la sua marcia per completare la trasformazione della Turchia da un possibile Stato di diritto, di tipo europeo, membro candidato all’ingresso nella Ue, a satrapia mediorientale, in cui il "reis" può stravolgere le leggi, e la loro applicazione, a suo piacimento.
L’arresto per non meglio specificate azioni terroristiche di Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, leader del Partito democratico dei popoli (Hdp, il principale partito curdo che nel Parlamento di Ankara occupa 70 seggi), insieme a un’altra decina di parlamentari del medesimo partito, è davvero, per dirla con il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz, «un segnale spaventoso sulle condizioni del pluralismo politico in Turchia». Il Hdp aveva raccolto alle ultime elezioni politiche, nonostante i pesantissimi condizionamenti delle frodi e delle manipolazioni a favore dell’Akp di Erdogan, il 10% dei voti. Soprattutto, quella curda rappresenta la sola, vera opposizione agguerrita. Il disegno di Erdogan è fin troppo chiaro: disintegrare il partito curdo per impedirgli di superare la soglia di sbarramento del 10% (sotto la quale non si può accedere alla Camera dei deputati), così da consentire al suo Akp di fare il pieno dei voti alle future elezioni, raggiungendo il quorum necessario a riformare la Costituzione in senso presidenziale.
L’ossessione per questo disegno dell’uomo forte del Bosforo, che a partire dal 2011 ha accentuato il suo autoritarismo e la violenza verbale delle sue dichiarazioni, assomiglia sempre più a una vera manifestazione di paranoia politica. Già oggi infatti il "sultano" governa la Turchia esercitando la sua volontà assoluta, mandando in galera chiunque gli si opponga, lo derida o, semplicemente, non lo aduli, in una maniera che fa sembrare il presidente russo Vladimir Putin un paladino della democrazia liberale. Da quando il misterioso e per lui provvidenziale tentato golpe del 15 luglio scorso è fallito, Erdogan ha impresso un ulteriore, fortissimo giro di vite alla natura illiberale e arbitraria del regime: dopo i militari, i magistrati, i docenti universitari, i professori, i funzionari statali e gli imprenditori è ora la volta dei deputati.
Nel caso della minoranza curda non può sfuggire che l’inasprimento delle misure repressive all’interno è associato all’offensiva militare che le forze di Ankara vanno conducendo contro i peshmerga: per ora in Siria, prossimamente in Iraq, perlomeno a sentire le preoccupazioni esternate dalle autorità di Baghdad. Su quest’ultimo fronte, mentre gli Stati Uniti sono vergognosamente latitanti, alle prese con una campagna presidenziale tanto infinita quanto infinitamente mediocre, Ankara ha trovato l’oggettiva connivenza russa e la sostanziale "non belligeranza" iraniana. Ma è un fatto: negli ultimi anni, le mosse pasticciate, miopi e arroganti di questo leader dall’ego smisurato non hanno fatto altro che contribuire a rendere il Levante l’inferno che è.
Per essere estremamente chiari, occorre fermare Erdogan: innanzitutto nella sua pericolosa megalomania internazionale; ma anche è necessario pressarlo per la sua scellerata politica interna. Trovare il modo non sarà facile, eppure le sedi esistono: a cominciare da quelle europea e della Nato. Ora vediamo come eravamo stati facili profeti nel mettere in guardia la signora Merkel dallo stringere un patto con il signore del Bosforo per "risolvere" la partita tedesca dei migranti e dei rifugiati. Proprio la signora della politica europea rischia di pagare molto cara la sua incauta apertura di credito a Erdogan. Quest’ultimo agita per nulla velatamente la minaccia di riaprire il rubinetto del flusso dei profughi attraverso l’Egeo e i Balcani. Dobbiamo sperare che in un soprassalto di dignità e coraggio, l’Europa, a partire dalla Germania, sappia trovare la forza di sottrarsi al ricatto.
Isolare la Turchia sarebbe sbagliato: ma farle capire in maniera dolorosa e costosa quali sono le conseguenze della sua scelta di isolarsi nei confronti dell’Europa è la sola via possibile. Altrettanto dovrebbe fare la Nato, da cui è lecito attendersi un comportamento meno vergognoso di quello tenuto a cavallo tra gli anni Sessanta e Settante del secolo scorso nei confronti dei colonnelli golpisti greci: sempre che i concetti di 'democrazia' e di 'alleanza delle democrazie' significhino ancora qualcosa.