Corpi di polizia, al centro torni il servizio al cittadino
venerdì 24 luglio 2020

Dopo gli orrori denunciati nella caserma dei Carabinieri di Piacenza, conviene risparmiare le repliche di stucchevoli espressioni. 'Mele marce', casi che non intaccano la solidità dell’edificio, immutata fiducia, onore integro. Parole e assieme retorico non sono una medicina, e nemmeno un placebo. L’unica terapia è l’analisi accurata, mescolata con la trasparenza e la verità in pubblico.

Se si ripetono i casi di associazioni per delinquere, sorte e prosperate nell’interno di strutture periferiche, è palese come sia fallimentare il modo gerarchico di prevenire deviazioni nel seno delle organizzazioni in divisa. Deviazioni proprio nell’approfittare dei poteri discrezionali e dell’autorità coercitiva che l’ordinamento conferisce alle varie polizie, nazionali o locali che siano. Il peggiore dei delitti che si possa commettere: il soccorritore istituzionale che si comporta da carnefice. In uno Stato di diritto, le organizzazioni chiuse - per l’appunto gli apparati a rigida gerarchia - vanno poste al riparo dal pericolo di degenerare in 'istituzioni totali'.

Va fissato, cioè, il metodo per impedire che i reparti di polizia divengano un mondo separato, dove vigano regole antitetiche a quelle della società civile. La vecchia caserma con la sua subcultura, con i conformismi da ambiente gregario, va superata con il farne luogo del servizio, dell’agire con responsabilità attiva verso i cittadini, con comportamenti trasparenti, valutabili dal pubblico. Per comprendere l’urgenza di una revisione impietosa e autentica – quarant’anni dopo la riforma della sicurezza pubblica del 1981 – ricorriamo a una analogia. Quando in un reparto di malattie infettive avviene il contagio di medici e infermieri, o quando in una corsia muoiono dei pazienti per virus e batteri che li aggrediscono dopo l’intervento chirurgico (37 mila vittime nell’Unione Europea!) a finire sotto accusa è la gestione complessiva del servizio. Nessuno infatti si sogna di venire a capo cercando il singolo operatore che abbia sbagliato. Sono tutti responsabili: dal primario al portantino. Poi, certo, emergerà anche la responsabilità individuale, ma la 'medicina' sarà il riformare l’organizzazione, lavorando con rigore e competenza alla sua qualità. Ed è qui che torna l’analogia con le deviazioni, anche con le più atroci, nei corpi di polizia o militari. Scorre una valanga di episodi, semplicemente andando con la memoria a vicende personalmente analizzate in articoli, e fatte discutere anche in aule formative con quadri e dirigenti di polizia. Molti casi di infezione con il crimine non conclusi accertando tutta la verità.

Dallo spaccio 'interforze' nel quartiere di Trastevere (2005) a quel che accadde negli anni Ottanta in Brianza, a tante rapine e persino un sequestro di persona nella Bassa Emiliana. Catastrofi vere e proprie come la strage di Bagnara di Romagna (nel 1988: centoundici colpi e cinque militari dell’Arma morti nella sparatoria tra di loro dentro i locali della stazione) o la storia durata sette anni della Uno Bianca a Bologna (risolta processualmente, con la condanna dei poliziotti, ma con il loro massimo dirigente promosso a folgorante carriera).

E nelle carceri? Le cronache del processo di Torino di questi giorni spaventano. Ecco allora una possibile medicina, per un’emergenza rimossa: prevenire le deviazioni all’interno degli apparati di polizia, proiettando tutto il personale e organizzando i ruoli della struttura verso la qualità dei servizi per i cittadini. Il paradigma è semplice: dove vi sono deviazioni manca certamente qualità del servizio. E reciprocamente, la corruzione viene allo scoperto più precocemente dove tutta la comunità della caserma lavora per migliorare il servizio, seguendo magari la vecchia direttiva Ciampi-Cassese del 1994 (regolarmente affossata). Non ci sarà più la notte quando tutti i gatti sono bigi. Si tratta così di tornare al valore del servizio, seguendo il modello di responsabilità attiva, di accountability: perché nello Stato democratico i corpi di polizia sono al servizio del cittadino, sia di quello nato in Italia o di quello proveniente da Paesi lontani e poi divenuto nostro concittadino. Del resto un tempo nel curriculum formativo delle scuole vi era l’apprendimento del codice etico di polizia, o del 'Servizio di polizia nella società multietnica', dal titolo di un libro di testo obbligatorio e per un po’ diffuso negli istituti per i quadri in divisa.

Sociologo, docente negli istituti di formazione delle Forze di polizia statali e locali

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