Il nostro dovere civico in questi tempi di emergenza coronavirus è rispettare tutte le precauzioni e le regole stabilite per rallentare la diffusione del contagio. Ma anche quello di non farsi prendere dal panico e mantenere lo sguardo dritto verso l’orizzonte, speriamo non molto distante nel tempo, in cui l’emergenza sarà passata.
Con un nuovo decreto il governo ha rinforzato le misure precauzionali per rallentare la diffusione del contagio decidendo anche di chiudere scuole e università. Una delle motivazioni è che ci vogliono azioni drastiche e tempestive per evitare che il picco dell’epidemia di un virus, per il quale non c’è vaccino e ci sono molti ricorsi alla terapia intensiva, porti al collasso il sistema sanitario nazionale.
Le decisioni del governo sono molto difficili perché ogni scelta di restrizione alla libertà di movimento ha dei costi. Anche se affermiamo che la vita è sacra nessuno di noi vive a rischio zero. Bisogna pertanto trovare il punto di equilibrio tra l’esigenza di tutelare la salute e il rischio di paralisi del Paese. Il problema che stiamo affrontando resta per molti aspetti misterioso.
I dati certi su cui facciamo affidamento sono i deceduti e i ricoverati in terapia intensiva per i quali il coronavirus è stato diagnosticato (circa 4,2 e 10 per cento dei positivi ai dati comunicati ieri alle 18 dalla Protezione Civile). Il dato su cui invece c’è più incertezza, anche tra i virologi, è il numero effettivo dei contagiati. È infatti evidente che solo chi ha sintomi si fa visitare e pensa di fare il test. È possibile, dunque, che il numero dei contagiati sia molto più elevato. E questa sarebbe una buona e non una cattiva notizia perché vorrebbe dire che ci sono molti contagiati lievi e che le due percentuali sopra citate vanno riviste al ribasso e con esse la pericolosità del virus.
Il rallentamento delle attività ha sinora procurato danni economici importanti. Sono andati in crisi primariamente i settori che producono beni e servizi legati a fenomeni di presenza collettiva dei consumatori come il turismo, i trasporti, la ristorazione e il settore legato all’organizzazione di eventi. Il loro forte rallentamento si è poi trasmesso su tutti gli altri settori che forniscono loro beni e servizi.
Gli effetti potrebbero essere di breve periodo se l’emergenza durerà poco, ma un effetto negativo di medio termine potrebbe esserci. Se l’Italia continuerà ad apparire nel gruppo di testa della classifica dei contagi, la percezione di Paese relativamente più pericoloso potrebbe danneggiarla per molto tempo. E questa percezione potrebbe essere legata alla differente metodologia adottata da altri Paesi che hanno fatto molti meno test e forse derubricato a influenza e polmonite tradizionali malati gravi e decessi avvenuti nel loro territorio.
Tuttavia da questa emergenza possono nascere grandi opportunità. Sottolineiamo da tempo l’importanza dello smart work ai fini della conciliazione lavoro-famiglia e della sostenibilità ambientale. In università, per esempio, è possibile in questo periodo di emergenza sperimentare la didattica online. Gli strumenti informatici per realizzarla sono facilmente disponibili in rete. Tutti gli studenti hanno un cellulare e possono dunque collegarsi e seguire online la lezione del docente. Si può fare, anche oltre la crisi, molto più smart work in tutti quei settori legati ai servizi dove non è sempre necessario l’incontro fisico con il cliente o l’utente.
Nel momento dell’emergenza aumenta, poi, la coesione d’intenti tra le forze politiche di governo e persino la convergenza con le opposizioni e si trova il coraggio per prendere decisioni importanti che si faceva fatica a realizzare nell’ordinario. Può essere il caso del rilancio delle "grandi opere" con una coraggiosa semplificazione fondata sulle figure del commissario, stile ponte Morandi, e del responsabile unico della procedura.
L’entità dell’intervento per sostenere le imprese colpite dalla crisi dipenderà dalla durata della stessa. Oltre a sospensione dei tributi e bonus per cali di fatturato generati dal coronavirus bisogna pensare alle banche che sono un anello delicato del sistema. Una moratoria sull’interesse dei prestiti alle imprese in crisi si tradurrebbe in un nuovo pericoloso aumento dei crediti non recuperabili e in un nuovo grave fattore di vulnerabilità se non si ottiene dalla Banca centrale europea una ricapitalizzazione proporzionale all’esposizione del portafoglio crediti all’emergenza coronavirus. Per questo, come sottolineato dall’Abi in una sua comunicazione, non ha senso in questo momento l’entrata in vigore – prevista da parte della Bce – di misure più veloci di recupero dei crediti non deteriorati e classificazioni più severe dei prestiti da considerare irrecuperabili.
Ci sono giorni terribili in montagna pieni di nebbia e tormente nei quali le nevicate sono di solito intense. Appena la perturbazione cessa e arriva una giornata di sole pieno con celi tersi, possiamo contemplare un paesaggio incantato pieno di alberi carichi di neve. Siamo dentro quest’emergenza e questa tormenta, ma dobbiamo tenere gli occhi fissi al giorno dopo. Quello in cui ci riapproprieremo della nostra libertà piena con ancora maggiore gioia di vivere. Possiamo vivere già adesso dentro quest’attesa carica di speranza. E renderla utile.