Oggi ci interroghiamo sul perché l’Italia sia balzata, nel giro di sole 48 ore, dall’ultimo al primo posto tra i Paesi occidentali per numero di casi di malattia da nuovo coronavirus. Nel libro Perché le nazioni falliscono: alle origini di potenza, prosperità e povertà l’economista statunitense Acemoglu e il politologo britannico Robinson si interrogano sui possibili fattori responsabili del successo politico ed economico degli Stati, ovvero del loro fallimento. Essi sostengono che la prosperità e la povertà dipendono dalla qualità delle istituzioni politiche ed economiche che possono essere «inclusive» o «estrattive». Le istituzioni «inclusive» favoriscono il coinvolgimento della maggioranza dei cittadini e pertanto, con la crescita economica, favoriscono anche lo sviluppo umano e civile; le istituzioni «estrattive», al contrario, sono finalizzate a "estrarre" rendite a beneficio di una minoranza di privilegiati. «Oggi le nazioni falliscono perché le loro istituzioni economiche estrattive non creano gli incentivi di cui la popolazione ha bisogno per risparmiare, investire e innovare».
Queste riflessioni sono utili per capire cosa bisogna fare perché l’Italia appartenga al primo gruppo e per far sì che il nostro Paese possa affrontare in modo positivo la sfida epidemiologica di oggi e poi le numerose sfide che il prossimo futuro proporrà.
La scienza è un sistema di conoscenze caratterizzato dalla ricerca della verità, attraverso prove riproducibili, mentre la politica è una vocazione pienamente impegnata nelle scompaginate circostanze e nei compromessi del mondo reale. Politici e scienziati hanno funzioni sociali che non poche volte si contrappongono, ma che in fin dei conti riescono a essere complementari. Solo che per arrivare a integrarsi è necessario percorrere un difficile cammino di mutue incomprensioni, ostacoli e interessi. Ovviamente questa mutua interazione e questo percorso non sono scevri da possibili rischi e distorsioni.
Dalla parte della politica, non è difficile trovare esempi di politici che negano o distorcono le evidenze scientifiche a favore di proprie posizioni su determinate tematiche, magari compromettendo in tal modo la comprensione da parte del pubblico dei fattori in campo. Per di più, quando ciò accade gli scienziati generalmente rispondono nella lingua della scienza, e raramente, perciò, riescono a risolvere la confusione e l’incomprensione ormai generata e diffusa nel pubblico. D’altra parte, è difficile anche capire in che misura gli scienziati dovrebbero essere coinvolti nel prendere parte alle decisioni politiche. La domanda è ardua per le società democratiche tecnologicamente avanzate. Se gli scienziati non mettono a disposizione le loro conoscenze esperte ai processi politici si rischia di prendere decisioni mal-informate su tematiche tecnicamente complesse. Ma, allo stesso tempo, se gli scienziati giocano un ruolo troppo grande nella definizione dei problemi e delle loro soluzioni si rischia di sostituire un governo democratico con un controllo tecnocratico.
Quale relazione tra politica e scienza rappresenta l’optimum? A mio parere le prove scientifiche devono essere credibili e convincenti, fornire soluzioni pratiche ai problemi di politica correnti ed essere presentate in modo da attrarre l’interesse dei politici, ma nella pratica queste condizioni sono raramente soddisfatte, perché i ricercatori hanno una limitata capacità di influenzare il contesto politico (o di sviluppo) all’interno del quale lavorano. E purtroppo i processi politici stessi sono probabilmente il principale ostacolo alla formulazione di policy basate sull’evidenza.
Il caso del coronavirus è emblematico: in un primo momento l’Italia ha intrapreso, per il contenimento di questa epidemia, una strada ambigua: ha privilegiato soluzioni molto "appariscenti" ma prive di evidenza scientifica, come il blocco dei voli diretti tra Cina e Italia e il controllo della temperatura corporea a tutti i passeggeri provenienti da voli internazionali, e non quella, prioritaria, di isolare in modo obbligatorio e coordinato (non facoltativo e volontaristico) tutti i soggetti che rientravano da zone ad alto e medio rischio. Come volevasi dimostrare, ciò ha solo ritardato e non limitato i contagi. Per questo va immediatamente costituita un’unica linea di comando che dia indicazioni chiare e inderogabili a tutti gli attori coinvolti, in primis gli operatori e subito dopo i cittadini. Far sì che il dialogo tra scienza e politica non sia un dialogo tra sordi è un problema che si pone con urgenza sia per battere questo male sia per il futuro del Paese.