L’emergenza transnazionale da coronavirus, non più soltanto sanitaria, ci sta insegnando che occuparsi di prevenzione del rischio per salute, lavoro, ambiente e territorio non è un lusso ma una necessità. Uno tra i valori fondanti di una democratica convivenza sociale. Ma è un fatto che in Italia chi si occupa di studiare, normare, applicare le scienze della prevenzione, semmai viene ascoltato, si sente ripetere il ritornello: “Se veramente dovessimo fare prevenzione, potremmo chiudere le imprese e gli uffici”... Ci siamo arrivati, comunque.
E ci siamo dovuti arrivare, anche se l’analisi economica delle emergenze dimostra da tempo che, se non c’è prevenzione del rischio, la protezione costa molto di più e può portare al black out un intero Paese e a sospendere talune libertà costituzionali, per il superiore interesse collettivo, con danni al momento incalcolabili. Appresa la lezione sulla prevenzione, ci accorgiamo ora che mancano, e purtroppo mancheranno, sale per terapie intensive, personale sanitario, mezzi di protezione, presidi medico–chirurgici, in attesa che arrivi un vaccino per la popolazione.
Non basteranno sacrifici e rinunce per rimediare alla psicosi sociale. Però, di necessità... virtù. Sta cambiando rapidamente il rapporto con la vita civile, il lavoro, le libertà personali, e può cambiare anche la relazione tra l’etica dell’impresa e i bisogni primari della società, con scelte nuove di politica economica dell’emergenza. Occorre pilotare risorse economiche verso la solidarietà sociale, anche con interventi (di natura fiscale, commerciale e sociale) per agevolare la destinazione immediata di fondi privati a favore del Sistema sanitario nazionale, la ricerca, la prevenzione e la cura. Non si tratta tanto di dare un indirizzo politico alla solidarietà, comunque consentito dall’art. 41, comma 3, della Costituzione, quanto di premiare scelte di responsabilità sociale delle imprese, delle fondazioni, di associazioni, club service, comitati, etc., al contempo alleggerendo e snellendo gli oneri a carico di Stato e Regioni.
Una prima direttrice può essere l’adozione urgente di provvedimenti fiscali a favore di imprese che entro breve termine elargiscano fondi (anche ripetuti nel tempo), con vincolo di destinazione, o provvedano all’acquisto diretto di beni, apparecchiature, prodotti, per gli ospedali e la ricerca. Se per questi fondi si adottasse una defiscalizzazione per l’intero e possibilmente anche retroattiva, l’impresa spenderebbe subito per lo scopo sociale quello che lo Stato incasserebbe tra un anno e riverserebbe come spesa pubblica ancora dopo.
E la retroattività della detrazione, imputandola ad anni precedenti in caso di pendenze con l’Erario, agevolerebbe la risoluzione di contenziosi. Meglio una “defiscalizzazione sociale”, retroattiva e compensativa, che un condono fiscale, termine ormai desueto perché impopolare, mascherato da “rottamazione” di cartelle et similia. Una seconda direttrice può riguardare le fondazioni bancarie che istituzionalmente destinano fondi per una beneficenza diffusa: l’emanazione di direttive che, pur lasciando a questi enti una legittima autonomia nel rispetto degli scopi statutari, stabiliscano un’urgente priorità per la Sanità, anche mediante un coordinamento centrale che governi i flussi economici.
Meglio governare sistematicamente, e subito, queste risorse (individuando chi, dove, quando e di cosa c’è bisogno) che lanciare una beneficenza a pioggia, con possibili ricadute soltanto su strutture e territori vicini agli interessi degli istituti bancari, creando un divario con aree del Paese che non hanno banche in buona salute. Strumenti simili possono adottarsi per club service, associazioni, comitati spontanei etc. che pur potendo gestire direttamente la propria generosità, vedrebbero un incremento marginale di utilità sociale della loro sensibilità.
Infine le sponsorizzazioni. In questa emergenza non è logico ed eticamente responsabile sostenere convegni, festival, eventi, gare sportive etc. che forse non possono nemmeno tenersi. Le società sportive, ad esempio, soprattutto se i campionati sono sospesi, siano autorizzate per decreto legge a trasferire a breve quanto ricevuto dagli sponsor, con vincolo di scopo per l’emergenza sanitaria, mediante donazioni immediate o acquisti equivalenti.
Ciò eviterebbe contenziosi con gli sponsor che hanno già elargito fondi per apparire in eventi che non si sono tenuti o che non si terranno. Società e sponsor ora godrebbero di una duplice visibilità, non soltanto commercialmente ma soprattutto socialmente utile. Alcune iniziative, sporadiche seppur genuine, si sono già affacciate ma sono prive di coordinamento, sfuggono a una visione complessiva dei bisogni urgenti, primo requisito per fronteggiare seriamente una qualsiasi emergenza. In un sistema sanitario regionalizzato le differenze ora più che mai diventano disuguaglianze. Assistiamo alla rincorsa di luoghi di ricovero, per ora da nord a sud, e purtroppo nonostante le forti misure prese potrebbe ancora accadere il collasso del sistema sanitario. Spiace smentire Totò, ma il coronavirus non è una livella. Fare presto vuol dire anche fare tutti qualcosa per tutti, e chi più può, faccia prima di altri quello che può. Un principio della responsabilità sociale insegna che ciò che fa bene alla società fa bene alle singole persone e all’impresa. È ora che la generosità, compressa da una stagione di egoismi, si liberi e voli alto per arrivare ugualmente a tutti quelli che stanno più in basso. Olivetti docet.
Magistrato presso la Corte di cassazione