Caro direttore,
con gli occhi 'non governativi' ma anche attento al punto di vista delle Istituzioni, ho seguito con attenzione e apprensione gli avvenimenti e le differenti prese di posizione sui salvataggi in mare. Ho cercato di cogliere i punti convergenti o tendenzialmente tali nascosti sotto la valanga delle dichiarazioni e dei commenti divergenti, spesso basati su informazioni imprecise. È stata seguita perlopiù la strada della contrapposizione, talvolta come naturale difesa di fronte agli attacchi, spesso su puntualizzazioni che hanno offuscato la complessità dei temi, sottacendo i punti comuni e radicalizzando le posizioni. Mi limito a tre esempi di rilievo, tra i tanti.
1) In un documento del 2 agosto le reti di Ong italiane Link 2007, Aoi, Concord Italia, accanto alle proprie ragioni su alcuni punti del 'Codice di condotta' ritenuti problematici, hanno riconosciuto le ragioni del ministro dell’Interno, auspicando che un più approfondito «confronto possa aiutare a superare le divisioni». Il ministro Minniti dal canto suo, pur riaffermando la necessità di una regolamentazione, ha mostrato seria disponibilità a recepire suggerimenti da parte delle Ong, compresa la garanzia dell’autonomia dello 'spazio umanitario', codificato d’altro canto, dalla stessa Ue. Salvare vite in pericolo è un’assoluta priorità e tutti sono legittimati e obbligati a farlo in mare.
Ma la continua contrapposizione non aiuta ad affermarlo a voce alta, all’unisono, valorizzando lo straordinario lavoro umanitario, governativo e non governativo, che fa onore all’Italia e che – come lei, direttore, ha scritto – «sta salvando la faccia e l’anima dell’Europa». Forse basterebbe poco per chiudere definitivamente e in modo soddisfacente i punti rimasti aperti di un Codice che non è mai stato messo in discussione in sé come strumento di coordinamento e regolamentazione.
2) Due giorni prima, la rete Link 2007 pubblicava che «occorre conciliare due doveri dello Stato: a) proteggere i propri cittadini, anche di fronte a paure prodotte da ingannevoli percezioni, vigilare i confini, regolare gli ingressi in modo corrispondente alle capacità, ai bisogni e alle possibilità di sana accoglienza e integrazione; b) agire in coerenza con il senso di umanità, il dovere di apertura e di solidarietà quando richieste da eventi particolari, i diritti umani, gli obblighi costituzionali e internazionali».
Seguiva un’articolata proposta per riuscire a conciliare coerentemente i due doveri. Su alcuni punti può esserci distanza tra le posizioni governative e delle Ong ma c’è un terreno di confronto comune che, se percorso, potrebbe fare maturare sostanziosi frutti. I prossimi sei mesi saranno preziosi. Varrebbe la pena di non perderli per riuscire a delineare politiche coerenti su emersione dell’esistente, freno agli ingressi irregolari e apertura di canali regolari, iniziative per rimediare al caos in Libia e aiutare i migranti, interventi lungo la rotta migratoria e nei Paesi di provenienza. Il tutto nel rispetto dei diritti umani e della dignità di ogni persona. È possibile? Si, lo è. Le Ong sono pronte a discuterne e a fare la propria parte.
3) Altri punti di condivisione sono dettati da norme che nessuno mette in discussione. Dalle convenzioni e leggi del mare fino alla Carta dei diritti fondamentali della Ue, che ne esprime i princìpi e valori fondamentali: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata». «Ogni individuo ha diritto alla vita ed alla propria integrità fisica e psichica». «Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti né può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù».
Il governo tutto, a partire dal presidente Gentiloni a cui spetta la definizione degli orientamenti, ha quindi una chiara base comune di riferimento, che coincide con quella delle Ong e della società civile. Sulla delega ai libici, nell’immediato, della gestione dei salvataggi, anche l’art. 3 della recente legge sul delitto di tortura (110/2017) è un punto che unifica. In Libia i migranti subiscono tutto ciò che noi, tutti noi – Istituzioni, Ong, Società civile, partiti politici – consideriamo inammissibile: trattamenti inumani, sequestri di persona, torture, abusi, stupri, lavori forzati, schiavismo. Serve solo essere coerenti. L’immigrazione, i fenomeni migratori, la mobilità umana sono realtà complesse e sotto i nostri occhi. Richiedono una presa di coscienza comune, informata, consapevole delle difficoltà e delle opportunità, insieme alla loro ineluttabilità. Girarsi dall’altra parte o pensare di risolvere i problemi con alcuni slogan o proclami accattivanti quanto ingannevoli in realtà li aggrava. Anche per questo, cercare di appianare rapidamente le non poche contrapposizioni 'superabili' dentro e tra governo, politica e società civile è uno sforzo che dovremmo responsabilmente assumerci.
*Presidente emerito di Intersos