Gentile direttore,
ho accolto come un forte incoraggiamento l’appello di diverse personalità che sul suo quotidiano mi è stato rivolto nei giorni scorsi per salvare i bambini accolti nell’isola di Lesbo. Una situazione drammatica, disumana, che li costringe in condizioni di grave pericolo. Lo scorso anno insieme ai presidenti delle altre istituzioni dell’Unione – Von der Leyen e Charles Michel – rivolgemmo anche noi un invito ai governi nazionali per accogliere i minori e le persone più vulnerabili raccolte nei campi allestiti in Grecia. Qualcosa è stato fatto, ma troppo poco. E ora, a seguito della denuncia di Medici Senza Frontiere il tema viene riproposto accompagnato dalle notizie sui tentativi di suicidio di ragazzi e giovanissimi. Un grido d’allarme che ripropone l’egoismo dei Governi nazionali e la mancanza di poteri dell’Unione Europea in materia di immigrazione e di asilo.
C’è un deficit insopportabile di sovranità europea che costituisce un danno umanitario. E anche una ferita politica. È evidente a tutti che le soluzioni possono essere trovate soltanto a livello europeo, mentre le politiche immigratorie restano di competenza degli Stati nazionali. Ma chi può immaginare che l’Unione non abbia gli strumenti per intervenire e si limiti ad azioni per lo più di persuasione? Gli Stati nazionali, invece, sono sempre più riluttanti a concedere poteri all’Unione, a trasferire quote di sovranità. Le attività di supplenza sono relative al sostegno finanziario, ma non costituiscono un obbligo di accoglienza e solidarietà. È accaduto anche lo scorso anno, come ricordavo. E a fronte degli appelli e inviti a occuparsi dei minori e dei più vulnerabili, la disponibilità all’accoglienza riguardò 550 ragazzi e 1.150 famiglie con bambini. Se non vi sarà una forte pressione sui Governi nazionali, anche da parte delle opinioni pubbliche, la risposta continuerà ad essere frammentaria e insufficiente.
Anche in questo momento la Commissione europea e le Agenzie dell’Unione, insieme alle organizzazioni umanitarie, stanno cercando in tutti in modi di dare un aiuto e alleviare le sofferenze di migliaia di donne, uomini e bambini. Ma molti Governi ancora hanno paura di mostrarsi generosi nei confronti di chi fugge dalla fame. Spesso sono gli stessi Governi che hanno aperto le loro porte e i loro confini alla finanza globale e a grandi gruppi oligarchici che hanno aumentato e aggravato le diseguaglianze. Forse è giunto il momento di raccontarsi la verità sugli ultimi venti-trent’anni di vita dell’Occidente. Ci hanno fatto credere che una crescita illimitata, senza freni e senza regole, avrebbe portato tutti al benessere. Non è stato così: il divario tra ricchi e poveri si è allargato in proporzioni inaccettabili, intere nazioni sono state sottoposte a rigidi e insopportabili sacrifici per le popolazioni, molti interventi hanno indebolito il nostro modello sociale. La nozione di bene pubblico è stata erroneamente disgiunta dall’esigenza di risanamento economico. Per i Paesi in via di sviluppo tutto questo è costato ancora più caro. E via via la povertà è diventata una colpa. E addirittura un reato. Il dovere della politica oggi è quello di riappropriarsi del valore della lotta alla povertà. Aiutare i bambini di Lesbo non è soltanto un gesto umanitario, ma un solenne atto politico, perché riporta l’umanità nell’agire pubblico.
La pandemia, con la sua forte carica di dolore, ci può consentire di aprire gli occhi e inventare soluzioni nuove. Ogni volta che i problemi colpiscono tutti è più facile sviluppare azioni comuni. Dobbiamo farlo anche sull’immigrazione e l’asilo. Per questo la voce e l’indignazione dei cittadini è oggi davvero importante. Non possiamo lasciare il campo alle urla e alle bestemmie di coloro che non considerano preziosa la vita degli altri.
Presidente del Parlamento Europeo