Con giusta misura
mercoledì 14 dicembre 2016

La compagine è innegabilmente quasi la stessa, con nuovi innesti minimi anche se non irrilevanti (il cambio al Viminale e all’Istruzione, la rinascita del Ministero per la Coesione e il Mezzogiorno). Chi la guida certamente no, e non solo per stile e indole caratteriale. Paolo Gentiloni si è presentato alle Camere chiedendo la fiducia con sobrietà e toni pacati. Strappando un unico vero applauso quando ha promesso «discontinuità» nel suo approccio al confronto pubblico. Lo ha fatto sapendo probabilmente che i suoi avversari e detrattori non raccoglieranno l’invito implicito a fare lo stesso. Dando tuttavia l’impressione, per quanto lo riguarda, di voler onorare l’impegno di non rivolgersi «a quelli del Sì contro quelli del No, ma a tutti i cittadini italiani». Il che certo non gli garantirà sconti, come testimoniano tante reazioni e la paradossale diserzione delle aule di parte delle opposizioni: siamo, direbbe Carducci, all’Aventino "degli stenterelli".

Ma se l’esempio viene dall’alto, il desiderio di contrastare la «degenerazione della passione», di dimostrare con i fatti che «la politica e il Parlamento sono il luogo del confronto dialettico, non dell’odio o della post-verità» è sicuramente apprezzabile (anche se forse quel concetto di "post-verità" meriterebbe un chiarimento).


La durata, la misura e i contenuti dell’intervento pronunciato a Montecitorio esprimono per altro la chiara consapevolezza dei compiti che il nuovo presidente del Consiglio ritiene gli siano assegnati. Il suo sarà un esecutivo «di responsabilità», per garantire la stabilità delle istituzioni in un quadro politico profondamente segnato – e decisamente incattivito – dalla vicenda referendaria. L’orizzonte temporale che ha davanti è di sicuro limitato, ma non tanto da dover rinunciare a stendere un’agenda realistica di cose da fare, dei suoi "doveri" essenziali come già ricordato, ieri, su queste colonne. Gentiloni ha lasciato in coda il tema della legge elettorale, ma sa bene che sul terreno politico la sua "mission" principale è proprio questa. E anche se ha sottolineato che non sarà più Palazzo Chigi il protagonista del negoziato, ha garantito l’impegno ad accompagnare, facilitare e sollecitare il cammino della riforma, indispensabile per impedire che la prossima legislatura sia esposta alle medesime vicissitudini di quella vicina ormai a concludersi.


L’esperienza d'altronde ci insegna che riscrivere le regole del voto in questo Paese non è mai una "passeggiata di salute" parlamentare. È vero che tra poco più di un mese una parola determinante verrà pronunciata dalla Corte Costituzionale.

Ma lo è altrettanto che le sentenze della Consulta sono molto spesso soggette a letture di parte e a forzature ben oltre il limite della ragionevolezza, come dimostrano le polemiche lunari sulla presunta illegittimità delle Camere partorite dal Porcellum nel 2013. Nel frattempo, il premier e la sua squadra dovranno cimentarsi con le nostre emergenze nuove e permanenti, due delle quali verranno alla ribalta già nelle prossime ore: la prima è la ricostruzione delle zone terremotate (e la nuova visita del presidente Mattarella ad Amatrice ne ribadisce la centralità, verrebbe da dire per l’'onore' del Paese), la seconda il confronto con l’Unione Europea nel vertice che si apre oggi sulla congruità della manovra di bilancio 2017 e sulle modifiche alla strategia comunitaria per i migranti e i rifugiati. Temi entrambi ricordati ieri da Gentiloni, assieme al nodo delle crisi bancarie irrisolte e a quella incombente del Montepaschi, non evocata esplicitamente ma ben presente sullo scenario di fondo.

Nel discorso alla Camera, dal nostro punto di vista, è mancato un espresso riferimento alla sempre più grave situazione delle famiglie italiane e della crescente povertà in cui molte di esse versano. Si può tuttavia presumere che il tema venga ricompreso dal neo presidente del Consiglio nelle due principali «questioni aperte e non risolte» della società nazionale da lui invece sottolineate: quella delle aree più disagiate della classe media e quella del Mezzogiorno. Sono terreni aspri, inariditi da decenni di incuria e di miopia, dove non basterà certo a produrre frutti decisivi il tratto di strada riservato al nuovo esecutivo.

Ma già sarebbe importante dare segnali chiari, una direzione di marcia precisa, almeno concludendo l’iter di importanti provvedimenti già avviati e dando loro pronta attuazione. Non è vero, non è scontato, che la legislatura non abbia proprio più nulla da dire. Il tempo record – 72 ore – nel quale si è risolta la crisi è la prova che la volontà politica è spesso la molla decisiva. Nella sua replica pomeridiana il premier non ha nascosto il «rischio politico» che lui e la sua maggioranza si sono assunti varando il nuovo governo. Ma visto che se lo sono preso, sarà meglio per loro, e per tutti, che giochino bene la partita fino in fondo.

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