Mai eccedere nello zelo, intimava il principe di Talleyrand. E almeno una volta all’anno, nel passaggio fra dicembre e gennaio, viene istintivo dargli ragione. Troppi propositi che si affastellano, troppe aspettative che rischiano di rimanere deluse. Vogliamo scegliere un augurio, uno soltanto per il 2017 in arrivo? Bene, facciamolo parafrasando Talleyrand: surtout pas trop de nostalgie. Non che ci sia niente di male, nel coltivare un po’ di rimpianto verso il passato. Purché sia un po’, e purché passi in fretta.
La nostalgia, al contrario, sembra essere diventata il sentimento unico di quella parte del mondo che, con una certa ingenuità, si ostina a credere di rappresentare il mondo intero. Accada quel che deve accadere, ma giù le mani dai nostri ricordi. Il problema riguarda principalmente – ma non esclusivamente – i baby boomers occidentali: i sessantenni d’America e i cinquantenni d’Europa, che ormai sono disposti a provare nostalgia di tutto, dalle sfilate di moda negli anni Ottanta al gracchiare dei modem negli anni Novanta. Non sono loro, però, ad aver inventato questa particolare attitudine nei confronti del passato.
Già nel 1949, di ritorno dal suo viaggio negli Stati Uniti, Jean Cocteau si stupiva di come in quella società esistesse una bizzarra propensione a considerare classico ciò che era accaduto da pochi giorni, a volte addirittura da pochi minuti. Una forma di nostalgia istantanea che da allora non ha mai smesso di dimostrarsi remunerativa sul piano commerciale (il collezionismo, le rievocazioni, le riproposte in edizione limitata), ma della quale sarebbe sbagliato sottovalutare la portata politica. Perché nulla, in questo momento, è più politico della nostalgia. Nessuna virtù civile, di conseguenza, è più necessaria della memoria.
I due termini non sono affatto sinonimi, nonostante insistano sullo stesso oggetto, che è per l’appunto il passato. Tanto una – la memoria – è vitale e disponibile alla riflessione, tanto l’altra – la nostalgia – è irriducibile al ragionamento e incrollabile nel pregiudizio. Era meglio prima: ecco qual è il motto universale della nostalgia, la parola d’ordine di ogni populismo, il programma riconosciuto di ogni restaurazione. Lo dimostrano le forze che si fronteggiano in queste ore sulla scena internazionale: da una parte lo zarismo implicito della Russia putiniana, dall’altra l’ambiguità degli Stati Uniti, con il presidente uscente Obama che si lascia travolgere dal rimpianto per quello che poteva essere e non è stato (è questo, in fondo, il senso della battuta sulla vittoria, del tutto ipotetica, nel caso di un impossibile terzo mandato) e il suo successore, Donald Trump, che del buon tempo andato ha fatto sin dall’inizio la propria bandiera (nel suo slogan elettorale, Make America Great Again, le parole più importanti erano le ultime due, "grande" e "di nuovo").
La nostalgia non è la memoria, dunque, ma la paralisi della memoria, una sua degenerazione. Che in apparenza mette a repentaglio il futuro, ma in effetti porta a ignorare il presente. Un 2017 non nostalgico potrebbe essere, semplicemente, un anno intero dedicato a comprendere che cosa sta succedendo nel mondo, senza chiudere gli occhi davanti agli orrori che pure esistono, ma anche senza trincerarsi dietro la deprecazione per partito preso. Il mondo, a dispetto di quello che pensano i vagheggiatori di un passato inesistente, non è mai stato un posto del tutto confortevole e se oggi crediamo di saperla lunga rispetto ai drammi della storia è soltanto perché qualcuno ci ha già raccontato com’è andata a finire. Anche il 2016 che si sta concludendo è stato qualcosa di più interessante e più complesso rispetto al susseguirsi di decessi eccellenti da cui i media sono rimasti stregati. È vero abbiamo perso tanti artisti negli ultimi mesi, ma se davvero vogliamo onorare la loro opera dobbiamo smettere di rimpiangerli, dobbiamo sottrarci al ricatto della nostalgia. Non per cinismo, non perché la vita va avanti e non abbiamo tempo da perdere.
No, il proposito da fare è un altro: prendersi cura del mondo nuovo che sta nascendo, evitando di stupirci quando non riusciamo a comprenderlo, di farci terrorizzare da chi non vuole che accada, di demotivarci nell’impegno per renderlo più umano. Ma non sarebbe nuovo, se non risultasse anche misterioso. In fondo, non cedere alla nostalgia significa non cedere alla paura.