L’espressione 'postmoderno' si è affermata da diversi anni, per indicare una cesura molto netta nella cultura dominante del Novecento, segnata dalla crisi del paradigma logico-razionalistico e quindi del freddo dominio del pensiero scientifico/funzionale. Il postmoderno ha messo in crisi la pretesa degli scienziati di governare il mondo secondo la loro ragione; ha irriso all’idea di un progresso storico univoco e irreversibile, dominato dalla sensibilità e dai gusti occidentali e soprattutto ha esaltato il moltiplicarsi delle forme e delle esperienze, rigettando la linearità e la sobrietà di quelle canonizzate dal 'moderno'.
Chi volesse avere un esempio immediato dello spirito postmoderno potrebbe rivolgere la sua attenzione a molti edifici costruiti negli ultimi decenni nelle più importanti città del nostro pianeta: edifici intenzionalmente progettati senza facciata, privi di ingressi centralizzati immediatamente riconoscibili, tali da mescolare stilemi architettonici alternativi e materiali edilizi di diversa natura e provenienza, suggestivamente e audacemente accostati e intrecciati tra loro. Il postmoderno è, e soprattutto è stato, il trionfo di un’ingegnosità, ben diversa da quella barocca, finalizzata ad attivare la 'meraviglia', ma in qualche modo a questa assimilabile per il gusto di dare spazio a un 'nuovo' provocatorio e soprattutto inaspettato.
Che ne è oggi, al principio degli anni 20 del XXI secolo, del postmoderno? Difficile a dirsi. Un pessimista potrebbe affermare che possiamo contemplarne solo le macerie. Un ottimista osserverebbe piuttosto che ha esaurito ogni sua forza propulsiva e che sopravvive nell’attesa, molto problematica, dell’emergere di nuovi paradigmi.
Quello che è certo è che la globalizzazione pandemica ha steso sul mondo di oggi un velo di uniformità e l’uniformità è il tragico presupposto della banalità e della noia. La rivendicazione – a suo modo sacrosanta – del modello democratico non riesce più da anni ad acquisire la forza necessaria per consolidarsi e i riti elettorali appaiono sempre più stanchi; il dilagare delle 'installazioni' (senza dubbio le opere d’arte più rappresentative del nostro tempo) è divenuto stucchevole; le produzioni con carattere 'multinazionale' rendono il mercato internazionale omogeneo, privo di qualsivoglia originalità; perfino la pandemia ha avuto come suo effetto principale, a livello mediatico, quello di omologare le notizie sanitarie provenienti dalle più remote parti del mondo e di chiamare faticosamente a raccolta studiosi e ricercatori il più delle volte serissimi, ma anche culturalmente e scolasticamente sradicati da un contesto nazionale e reciprocamente 'sostituibili'.
Insomma, sembra che il postmoderno abbia smarrito le sue istanze più proprie e profonde (al di là dei loro specifici 'meriti') e abbia lasciato al loro posto strane, indeterminate e inquietanti fusioni di gusti e di pratiche sociali, incapaci di costruire teorie della morte e dell’amore in grado di attivare nuove forze germinative. Questo potrebbe darci una spiegazione dell’atmosfera che sembra oggi dominante dovunque il coronavirus abbia potuto radicarsi; un’atmosfera invecchiata, stanca e affaticata, priva di specifiche energie, quasi incapace di reagire alle nuove minacce nei confronti della vita che pullulano da ogni parte. L’attesa di terapie risolutive contro il Covid-19, quella di potenti vaccini capaci di spazzar via le angosce e le paure che sono sorte e che ci hanno tormentato negli ultimi, lunghi mesi, sembrano riferirsi più a vaghe speranze che a concreti progetti; e per tanti di noi – troppi – la solidarietà umana interpersonale, giustamente evocata e invocata da ogni parte, appare ogni giorno che passa sempre più tragicamente astratta e priva di concretezza operativa.
Mai come nel tempo del Coronavirus l’umanità sembra soggiacere a un unico destino, che richiede risposte, impegni, battaglie comuni e mai, come in questo tempo, una parte purtroppo non piccola dell’umanità – anche e soprattutto nella porzione di mondo più sviluppato – sembra diventata incapace di interpretare se stessa in chiave solidaristica e di interrogarsi seriamente sul proprio futuro. È il momento di fare lucidamente i conti con questa realtà. Serve un antidoto a vecchiaia e sfinimento.