N on ne faccio mistero: trovo molto interessante parlare di religione attraverso il calcio. Il calcio, specie in Europa e in America latina, costituisce un fondamentale segmento della cultura popo-lare, e quando si descrive il tifo come una fede non si usa, purtroppo, solo una metafora, anzi: il tifoso pratica verso la propria squadra o il proprio idolo (appunto) sportivo tutte e tre le virtù teologali (crede, spera, ama), anche se a scapito delle quattro cardinali. Sono stato contento perciò di leggere, nell’ultimo giro di Rete che ho fatto, che ben due osservatori hanno acutamente connesso calcio e fede. Don Fabio Bartoli, commentando sul suo blog “La fontana del villaggio” ( tinyurl.com/zlm3vvv ) l’Amoris
laetitia, ha paragonato la teologia pastorale che guida papa Francesco alla filosofia calcistica del tecnico boemo Zeman. Ovvero: la Chiesa in uscita come una squadra votata all’attacco, a buttarsi in avanti, incurante di scoprire le proprie retrovie. Avvantaggiato, rispetto a Zeman, dal fatto che a un allenatore non basta far innamorare i tifosi per vincere i campionati, mentre per la Chiesa l’equivalente, conquistare le anime, è l’unica vittoria che conta. C’è anche il caso in cui una squadra fa innamorare i tifosi perché, pur essendo piccola, vince il campionato. Ne parla Massimo Introvigne sul blog di Sandro Magister “Settimo cielo” ( tinyurl.com/zno6mn9 ), interrogandosi sull’interesse particolarmente alto che i cattolici – e i media che a essi si rivolgono – hanno riservato al miracolo (appunto) Leicester. E ipotizzando che nella performance di tale squadra si sia vista realizzata l’assicurazione, che il calcio dà ai suoi adepti, «che i poteri forti, nonostante le immense risorse di cui dispongono, qualche volta perdono». Come un’anticipazione della promessa messianica in cui speriamo: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha esaltato gli umili».
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