Ma in un mare come quello, chi sarebbe entrato? Nel video girato due giorni fa su una spiaggia di Milazzo, in Sicilia, la burrasca che ha troncato repentinamente l’estate mostra il più torvo dei volti: sotto a un cielo di piombo un mare ribollente alza onde alte cinque metri, muri d’acqua che si abbattono rabbiosi sulla battigia. Due ragazzini di quindici anni sono entrati in mare, per una maledetta bravata, uno è ancora là fuori.
Gli uomini della Guardia Costiera arrivano in auto, hanno con sé solo un salvagente. Soccorrere è il loro mestiere, ma quel mare, basta guardarlo, è impossibile. Oscura furia, materia cieca di rabbia. Ora, e forse se lo sono chiesti in molti fra le migliaia che hanno visto il video sul web, cosa ti spinge a entrare in un simile mare? Mi sono detta: io entrerei, benché cosciente di andare a morire, solo se fosse per salvare un figlio. Per uno sconosciuto, no: nemmeno il senso del dovere proprio di chi veste una divisa costringe a perdere la propria vita. Con due bambini a casa.
Nessuno avrebbe contestato niente a Aurelio Visalli, se avesse rinunciato. Ma lui, quarant’anni, da venti nella Guardia Costiera, è entrato. E più guardi quel mare pauroso, più ti chiedi perché. Certo, il mare per uno come Visalli era una seconda natura, fin dall’infanzia. Credeva forse di saperlo fronteggiare anche nella burrasca? Ma chi conosce bene il mare ne sa la spaventosa forza. In certe ore, sa come le braccia più vigorose rimangano svuotate, impotenti, dallo schiaffo di un’onda che ti rovina addosso come ghiaia e ti porta via, lontano. E allora? Rivedo quell’uomo davanti al Mediterraneo che rumoreggia e urla, penso agli ultimi istanti, alle ragioni nei suoi pensieri, che si combattono aspramente. I figli bambini, sei e undici anni, e la moglie, da una parte. E qualcosa dall’altra che esattamente non capisco, ma cerco di intuire.
Non l’onore, qualcosa di più grande. Come l’idea che, se non ti buttassi, non te lo potresti perdonare. Imperativo che sorge dal profondo, e di cui forse non eri conscio finora. Un padre per un figlio si getta nel fuoco, ma quel ragazzo che appare e scompare fra le onde Visalli non l’ha mai visto.
E tuttavia, nell’urgenza dei secondi che scorrono, nel boato del vento, gli è chiaro che lui deve andare. Noi che guardiamo, o io almeno, non comprendiamo fino in fondo. Ma è come se nell’ora tagliente della scelta in certi uomini affiorasse una legge profonda, che non si sono dati da sé. Quasi che l’altro, qualunque sconosciuto altro essere umano, li riguardasse, anzi fosse indissolubilmente loro legato, con il suo destino. Una legge più grande di qualsiasi codice degli uomini, di cui normalmente siamo all’oscuro.
Ma accade d’improvviso, in una tempesta, o in una guerra, in un rastrellamento, che a un uomo venga silenziosamente posta una domanda: sei tu disposto a morire per un altro, che nemmeno conosci? È un appello, lanciato a un esercito schierato da un misterioso messaggero. Non è vile sottrarsi, è semplicemente normale. Ma c’è qualcuno che non può dire no, e fa un passo avanti. Poi li chiameranno eroi, o, talvolta, santi. Altre parole non sappiamo (e non vi curate, soprattutto, di quelle storte che pure sono circolate).
E le usiamo per spiegare un’obbedienza di cui non saremmo capaci, ma che ci turba e ci commuove. Come ci richiamasse a un legame indissolubile fra noi, ogni giorno rinnegato, eppure tenace. Vena d’oro, dissepolta sotto millenni di terra e detriti: ma come splende, e come ci stupisce. Quasi dicendo che è un bene immenso, nonostante tutto il nostro male, ciò in cui siamo dal principio fondati.