C’è un Italia che sfrutta, calpesta diritti, si arricchisce sulle fatiche e le sofferenze. C’è un’Italia sfruttata, calpestata nei propri diritti fondamentali come il lavoro, la salute, la casa, la famiglia. Un’Italia multietnica. C’è un’Italia che questi diritti difende, sostenendo in modo concreto percorsi di vera integrazione. E lo fa tenendo in mano Vangelo e Costituzione, e mettendoli in pratica. Sono le due Italie che abbiamo incontrato di nuovo nel nostro lungo reportage, più di 4mila chilometri, in quattro regioni del centrosud, per raccontare storie di caporalato e sfruttamento. Storie di lavoratori – cittadini italiani, cittadini comunitari e, la maggior parte, cittadini immigrati regolari dalla pelle nera o ambrata – che faticano da anni sui nostri campi, producendo reddito per tutti noi e frutta e verdura per i nostri supermarket e le nostre mense. E in cambio non hanno la “giusta mercede”.
Storie di persone come noi, ma senza diritti. Il diritto a un lavoro pulito pagato in modo pulito. Il diritto alla casa che nella baraccopoli di San Ferdinando e nelle roulotte di Terracina è solo un sogno trasformato in dramma. Il diritto alla salute violentato dai pesticidi nelle serre della Piana del Sele. Il diritto a una vera infanzia sbattuto sui campi di Mondragone. Il diritto alla dignità stuprato e comprato nei casolari di Cerignola. Ricordiamo il pianto di Fatima, l’orgoglio di Balbir, la fatica di Osman, il riscatto di Peter e Mary. Lavoratori, lo ripeteremo all’infinito, non invasori o “clandestini”. Ricordiamo le albe del mercato delle braccia, il lavoro piegati in due a 38 gradi, il ritorno a casa (?) con pochi euro in tasca e le mani piagate. Ricordiamo l’intraprendenza un po’ donchisciottesca di don Roberto, parroco di Rosarno. L’irrefrenabile attivismo di don Martino, parroco a Postiglione e direttore Caritas a Teggiano. La coinvolgente allegria di suor Paola, “mamma Afrika” di Cerignola. La preziosa professionalità offerta agli ultimi da Stefano, Gerarda e Antonio Pio, avvocati e medici di strada. Il coraggio di Tammaro, sindacalista dei diritti, e di Marco, sociologo in prima linea. Il cuore e le mani di Domenico, Alvaro, Giuseppe, volontari di una “Chiesa in uscita”. Ricordiamo i loro vescovi Orazio Francesco, Luigi, Antonio, pastori con l’odore delle pecore addosso. Anche quelle pecore nere che sono lasciate fuori dagli ovili. Pastori che si occupano di tutti i poveri, tutti senza eccezioni, che accolgono in episcopio gli ambulanti per salvarli dal ghetto e che nel ghetto vanno, offrendo e costruendo servizi e tutele.
È anche questa l’Italia che abbiamo incontrato e raccontato. È un’Italia che non ha paura del diverso, perché sa che è un valore da difendere, da accogliere in un “noi” che è la migliore Italia di sempre, che deve ancora essere la nostra Italia. Un’Italia che si prende in carico la difesa dei giusti diritti e dei doveri di tutti, datori di lavoro e lavoratori, compresi i cittadini immigrati che le istituzioni avrebbero il dovere di garantire. Abbiamo raccontato per accendere una luce su condizioni da troppi anni intollerabili, per confermare che la legge sul caporalato non solo va difesa e attuata, ma rafforzata, soprattutto per aiutare chi decide di denunciare gli sfruttatori. Abbiamo raccontato, perché è un diritto e un dovere conoscere, soprattutto in questi tempi nei quali l’informazione è spesso di seconda mano e condizionata dagli slogan politico-ideologici, con poche garanzie di verità, onestà e trasparenza. Ci siamo riusciti? Lo speriamo. Soprattutto per i protagonisti di queste storie, per le vittime e per chi le aiuta. Speriamo anche di aver attirato, almeno un po’, l’attenzione di alcuni ministri, dal responsabile del Viminale, Salvini, attivissimo nel “chiudere” porti ai profughi e spiagge agli ambulanti, molto meno nel contrastare gli sfruttatori, al suo collega Di Maio, ministro del Lavoro che anche di questi lavoratori è chiamato a occuparsi, e al ministro dell’Agricoltura, Centinaio, che magari qualche controllo in più lo potrebbe ordinare applicando la legge sul caporalato che invece ha criticato.
Lo speriamo. Così come speriamo che magari vogliano approfondire questa condizione chiedendo informazioni a volontari e sindacalisti, sostenuti da vescovi e sacerdoti, che ogni giorno “spendono” testa, cuore e mani con i più fragili, immigrati e italiani, senza distinzione. Che cercano di salvarli dal mare dell’ingiustizia e dello sfruttamento, della povertà e della solitudine. E lo fanno senza altro interesse che la tutela del diritto alla vita e alla vita degna di tutti e di ciascuno, riempiendo colpevoli vuoti. Strano? No, bellissimo. È quella la bella Italia che c’è, che accoglie, affianca, integra, suda, soffre, ma insieme a chi fatica e soffre. Che dice “no” a intolleranza e violenza, anche quella terribile delle parole, ancor più terribile se in bocca a responsabili istituzionali. C’è tanto da imparare da questa Italia. È la migliore alternativa a questo clima così teso, pesante, nero. Girando nelle terre dello sfruttamento ci siamo vergognati di quello che vedevamo. Soprattutto dei silenzi e delle parole di troppo che non raccontano queste realtà o le falsano. Altro che “pacchia”! In queste due settimane abbiamo provato a raccontarlo, così come tanti colleghi hanno fatto e stanno facendo. Lo continueremo a fare, magari, di nuovo, anche al Nord, come ci hanno chiesto più lettori. Perché è un nostro dovere. Per non doverci vergognare.