Un filo rosso lega la conversione in legge, a Roma, del nuovo decreto immigrazione con la sentenza della Corte di Giustizia europea sul trattamento dei profughi al confine ungherese. In concomitanza con la Giornata mondiale per i diritti dei migranti, su entrambi i fronti, i valori umanitari hanno marcato un punto nella battaglia contro sovranismi e sacralizzazione dei confini nazionali.
La drammatizzazione delle questioni dell’immigrazione e dell’asilo a fini di consenso politico non andrà in soffitta per queste battute d’arresto. Dopo la gazzarra organizzata dal suo partito in occasione del voto finale in Senato, Matteo Salvini ha dichiarato di voler proporre, una volta passata l’emergenza Covid, un referendum abrogativo contro le nuove norme. I governanti ungheresi, dal canto loro, ricorrendo a un linguaggio d’altri e sinistri tempi, dopo la sentenza della Corte di Lussemburgo hanno proclamato «continueremo a proteggere i confini dell’Ungheria e dell’Europa …
L’Ungheria sarà un Paese ungherese solo se i suoi confini resteranno ». Né la crisi sociale che ci attende favorirà una discussione più distesa sulla protezione delle persone in cerca di asilo, una volta esauriti ristori, estensioni della Cassa integrazione e altre misure di tamponamento degli effetti economici della crisi pandemica. L’idea che qualche migliaio di profughi – nel caso ungherese, per di più, di passaggio verso altre destinazioni – rappresentino una minaccia esiziale per la sicurezza e per l’identità culturale di una nazione, appare tuttavia in lento riflusso. Sebbene le forze politiche che hanno costruito le loro fortune agitando questa minaccia cerchino di rinfocolarla esasperando i toni, la loro capacità di persuadere gli elettori che stabilità sociale, benessere e futuro dipendano dalla chiusura delle frontiere (verso i poveri), sembra aver perso mordente.
Negli Stati Uniti la vittoria di Biden, nonostante i consensi-record raccolti da Trump, contribuisce a disegnare uno scenario più sensibile a una riaffermazione dei diritti umani, in un rapporto equilibrato e pragmatico con il controllo dei confini e con gli interessi interni. Non a caso, il presidente eletto si è già esposto in promesse impegnative, come la ripresa del programma di legalizzazione dei giovani entrati illegalmente sul territorio da bambini, i cosiddetti Dreamers, e persino sul tema assai più insidioso della regolarizzazione di una quota consistente degli 11 milioni di residenti irregolari. Anche nella Ue il 2021 sarà un anno di scelte contrastate, ma anche – si spera – più coraggiose in materia.
La bozza di nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, nonostante la retorica e alcune apprezzabili aperture, è rimasta al di sotto delle aspettative, troppo frenata dalle pressioni del blocco di Visegrad e dei suoi alleati. Basti pensare che 'rimpatri/ rimpatrio' è il termine probabilmente più ricorrente del documento, con ben 88 riferimenti, contro 16 per 'accoglienza', 38 per 'protezione', 9 per 'integrazione'. Il lessico rivela molto delle priorità politiche che informano il testo attuale. In Italia, il nuovo decreto dovrebbe essere un punto di partenza e non di arrivo. Revisione degli accordi con la Libia per la protezione dei rifugiati, nuova legge sulla cittadinanza in direzione dello ius culturae, nuove politiche degli ingressi per lavoro, bussano alle porte di un anno in cui il governo Conte e la sua maggioranza dovranno saper proporre una nuova visione dell’Italia in uscita dall’incubo- Covid.