Nuovo presidente in Corea del Sud. E già si preannuncia il "gelo" con il Nord
giovedì 10 marzo 2022

La crisi ucraina fa passare in secondo piano i risultati delle elezioni presidenziali tenutesi il 9 marzo in Corea del Sud, un Paese per molti versi affine all’Italia, da ultimo per trovarci insieme nella categoria degli Stati designati da Mosca come «ostili» i cui crediti, per punizione, verrebbero ripagati con rubli svalutati e screditati.

Il nuovo capo dello Stato sarà il conservatore Yoon Suk-yeol, un noto procuratore anticorruzione che ha battuto per un soffio il progressista Lee Jae-myung del Partito Democratico e succederà al presidente uscente Moon Jae-in, un democratico che durante il suo quinquennio aveva coraggiosamente cercato di rilanciare una politica di normalizzazione dei rapporti con la Corea del Nord.

La campagna elettorale è stata in buona parte incentrata su temi di politica sociale ed economica e marcata da scandali e attacchi personali in un momento in cui l’onda del Covid-19 sta nuovamente salendo anche in quella penisola. A causa dell’inesperienza di ambedue i contendenti in campo internazionale, i temi della politica estera e di sicurezza come anche quello centrale dei rapporti con il Nord non sono stati al centro del dibattito elettorale. Sono temi che il nuovo inquilino della Blue House presidenziale non potrà tuttavia evitare di affrontare in un contesto internazionale che si sta deteriorando non solo nello scacchiere europeo ma anche in quello asiatico. La rivalità Cina-Usa e la minaccia atomico-missilistica di Pyongyang, di cui il Sud sarebbe la vittima designata, obbligherà Yoon ad approfondire le sue conoscenze in questo settore.

Yoon Suk-yeol,

Yoon Suk-yeol, - Ansa

Egli prenderà prevedibilmente le distanze dal forte impulso che il suo predecessore aveva dato al riavvicinamento intercoreano. Tutto era iniziato bene per il presidente uscente, nel 2018, dopo l’inattesa partecipazione all’inaugurazione delle olimpiadi invernali nel Sud di Kim Yo-jong l’intraprendente sorella del leader massimo del Nord Kim Jong-un. Le squadre olimpiche delle due Coree sfilarono congiuntamente e in un’atmosfera euforica si diede il via a un riavvicinamento che non aveva precedenti neppure durante le aperture della Sunshine policy iniziata venti anni prima dall’allora presidente Kim Dae-jung. Seguirono incontri intercoreani al massimo livello, ma soprattutto una serie di accordi bilaterali persino a livello militare che aprivano la strada all’obiettivo mai raggiunto di un trattato di pace tra i belligeranti della guerra di Corea nella prospettiva di una possibile riunificazione.

Il vero capolavoro diplomatico di Moon fu quello di convincere Donald Trump, che aveva originariamente minacciato fuoco e fiamme contro la Corea del Nord, non solo ad avallare la sua apertura verso il Nord, ma persino a cavalcarla personalmente incontrandosi a due riprese con l’odiato Kim. L’ultimo vertice Usa-Corea del Nord. a Hanoi. si rivelò però un fiasco totale probabilmente orchestrato volutamente dall’allora consigliere per la sicurezza Nazionale John Bolton.

La storia recente dimostra che una politica di riavvicinamento intercoreano non è realizzabile senza il consenso di Washington e in effetti il fallimento del dialogo Usa/Dprk ha condotto inesorabilmente anche allo svuotamento del dialogo intercoreano. I mille ostacoli di politica estera che sta ora incontrando l’amministrazione Biden e in particolare la crescente rivalità con la Cina in Asia e ora con la guerra in Ucraina, lasciano poco spazio a un rilancio diplomatico americano nella Penisola coreana e dunque scarse sono le speranze di un disgelo intercoreano. A maggior ragione ciò avverrà sotto la guida del conservatore Yoon. Già oggi rimane poco dei risultati raggiunti dal presidente uscente anche a causa delle perduranti sanzioni dell’Onu contro la Corea del Nord che costituiscono un ulteriore impedimento alla cooperazione intercoreana.

Questo quadro già deludente rischia di aggravarsi con la nuova amministrazione. Seul tenderà a inasprire i rapporti con Pyongyang e a privilegiare il confronto anziché il dialogo. Non si giungerà auspicabilmente a optare, come suggerito da alcuni parlamentari conservatori, per un ritorno dello spiegamento americano di armi nucleari tattiche nel territorio del Sud o addirittura di permettere al Sud di dotarsi di un’arma nucleare autonoma. Le prospettive di una riunificazione, ameno per il momento, dovranno essere riposte nuovamente in un cassetto.
già Ambasciatore d’Italia nella Repubblica di Corea
e già presidente della Conferenza del Disarmo a Ginevra

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