La missione del cardinale Zuppi a Kiev fa riflettere sulla posizione di papa Francesco nel conflitto in Ucraina. La guerra, originata dall’invasione russa, è pagata in modo quasi esclusivo dagli ucraini, con milioni di sfollati interni, circa otto milioni di espatriati, la drastica riduzione dell’economia, le distruzioni di città e infrastrutture, tante morti, stragi, violenze. Fino alle ultime terribili inondazioni con la distruzione della diga di Kakhovka. Quando si parla di pace si pensa in primo luoghi agli uomini e alle donne, ai bambini e agli anziani dell’Ucraina.
Papa Francesco, poco dopo lo scoppio del conflitto, ha voluto una giornata di preghiera «per la pace in Ucraina». Ha parlato subito di guerra e non di “operazione speciale”. Ha detto: «Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente e dalla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. Si affida alla logica perversa e diabolica delle armi...». Lo sguardo del Papa non è freddo sul dramma della guerra e le vicende che dolorosamente travagliano l’Ucraina. Tuttavia, parte dalla considerazione (di tutti i Papi del Novecento) che la guerra è un’«inutile strage», per citare le parole di Benedetto XV nel 1917, che gli valsero reazioni furenti dai Paesi in lotta e dagli stessi cattolici.
In uno scenario internazionale che, in poco meno di 500 giorni, ha quasi dimenticato la pace come obiettivo della politica, ma anche come sbocco dei conflitti, è venuto costantemente dal Papa il ricordo del prezzo di sangue della guerra e il richiamo a superarla. Francesco Grana ha raccolto i testi del Papa nel libro Un’enciclica sulla pace in Ucraina. Francesco, in continuità impressionante con i predecessori, non condivide il fideismo (disperato e improvvido) nella guerra. Invita costantemente a cercare una soluzione in altro modo.
In questo orizzonte s’inquadra la missione Zuppi, cominciata non a caso a Kiev, accompagnata in Italia da un po’ di scetticismo di qualche ambiente (pure cattolico). Si è troppo disabituati e rinunciatari a pensare e costruire vie di pace (si veda la tragedia siriana), così che si parla di fallimento se la pace non viene con un solo incontro o una visita. Ma c’è anche un’attesa diffusa che si esca dall’inerzia e si agisca per la pace. Forse, pure nel mondo cattolico, taluni si sono abituati all’irrilevanza, cui però non si rassegna l’anziano Papa, che ogni giorno chiede pace. Zuppi non era latore di un piano di pace ma di un messaggio di Francesco al presidente ucraino Zelensky, il quale – in un giorno durissimo per il Paese – lo ha ricevuto con molta attenzione. Infatti l’ascolto e la presa di contatto con la realtà fanno parte della missione del cardinale. La missione non è una «falsificazione della realtà», come afferma l’americano George Weigel, che addirittura minerebbe la determinazione occidentale. Allo stesso modo, nel 1917, Benedetto XV fu accusato di disfattismo perché parlava di pace.
Cuore degli incontri di Kiev sono state le questioni umanitarie, tutt’altro che secondarie per gli ucraini, di cui la Santa Sede si fa carico. Del resto, non si dimentichi l’importante aiuto umanitario del mondo cattolico, specie italiano, all’Ucraina, un vero contributo alla resistenza della società civile. Sembra prevista una prossima visita del cardinale a Mosca, che non è una navetta tra due capitali bensì il prosieguo di una missione di ascolto e incontro. Non è escluso che altri attori internazionali del conflitto possano essere incontrati. Questa non è però una mediazione di pace. Per farla ci vuole la richiesta di entrambe le parti, come fu all’epoca del rischio di conflitto tra Cile e Argentina nel 1978-79, in cui la Santa Sede mediò.
La missione del cardinale proietta, sul terreno, la posizione del Papa. Ha un valore simbolico e contiene un messaggio di speranza in controtendenza alla generale accettazione della guerra: Zuppi ha visitato i luoghi dolorosi di Bucha ed è stato a pregare per la pace nella millenaria cattedrale di Santa Sofia nel cuore di Kiev.
Ha portato la preghiera del Papa e dei cristiani in un alto luogo della storia religiosa degli slavi orientali. Ma la missione ha anche un valore concreto per le questioni umanitarie e politiche. Del resto, in questo momento, oltre il piano di pace cinese, altri leader (come alcuni presidenti africani o quelli del Brics) stanno tentando alcuni passi. Mi pare che l’investimento nella diplomazia, anche se non dà ovviamente frutti immediati, abbia un valore positivo.
La Santa Sede non si rassegna alla guerra, pur seguendo con attenzione la vicenda dell’attuale conflitto. In questo senso il Papa parla e bussa a tutte le porte. E continuerà a farlo. È sostenuto da una parte importante dell’opinione pubblica e dalla gente comune e dai cristiani che pregano per la pace.
Del resto è di notevole interesse l’attenzione governativa ucraina (al di là di qualche espressione di ambienti di sicurezza) alla missione Zuppi in un Paese lanciato in una sfida militare che ne tocca la sopravvivenza. È segno di una maturità politica che sa comprendere cos’è e quel che cerca la Santa Sede nel mondo.