È necessario che i cattolici italiani tornino a riappropriarsi di temi centrali della Dottrina sociale della Chiesa, quale ad esempio quello della "persona", e contribuiscano a mettere a fuoco e a indirizzare a soluzione priorità essenziali nella vita della comunità nazionale. Sono concetti al centro delle prime dichiarazioni pubbliche del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e nuovo presidente della Cei, espresse con chiarezza nell’intervento del 29 giugno 2017 alla "Festa di Avvenire" di Matera e tornate con forza anche nell’intervista rilasciata a "la Repubblica" di domenica scorsa 30 luglio.
Essi meritano diverse riflessioni a partire dalla "persona", che non caso su queste stesse pagine ha infatti dato origine, anche per mia responsabilità, a un denso dibattito. È un tema che a livello teoretico è in crisi, per l’utilizzazione alternativa e spregiudicata che ne sta da fin troppo tempo facendo la cultura laicista e che, anche per questo, va, nell’opinione di Bassetti, «ripensato» come irrinunciabile, perché implica l’assoluta coincidenza dell’idea di uomo e dell’idea di dignità, una coincidenza, dice Bassetti, «incalpestabile e inalienabile», checché ne possa dire il malinconico laicismo oggi dilagante. Ma ancora più importante, a mio avviso, l’indicazione delle priorità sociali e politiche del nostro Paese suggerita dal presidente della Cei: il lavoro, la famiglia, i migranti.
Bisogna che i cattolici italiani sappiano cogliere con esattezza questa indicazione, che è molto più provocatoria di quanto non possa apparire a una lettura superficiale. È evidente, infatti, che non c’è bisogno di fare appello alla Dottrina sociale della Chiesa per ribadire quanto sia importante un generico impegno nella lotta alla disoccupazione, per il sostegno alle famiglie e agli uomini, alle donne e ai bambini costretti a migrare. Ciò che è importante è piuttosto lo specifico approccio dei cattolici a queste questioni, un approccio radicalmente diverso da quello liberal-laicista.
Per i cattolici, il lavoro non è solo un diritto, ma è anche nello stesso tempo un dovere fondamentale dell’uomo. Chi emigra per trovare un lavoro che in patria non gli viene garantito ha diritto a tutta la nostra solidarietà. Ma chi emigra soltanto per ottenere un reddito maggiore di quello che comunque potrebbe ottenere in Italia esercita sì un proprio diritto, ma viene meno, per mere ragioni di lucro, al dovere di solidarietà nei confronti della sua comunità originaria di appartenenza, la comunità che lo ha formato, protetto ed educato. Analogamente, il forte impegno pubblico a favore delle famiglie, tenacemente auspicato dai cattolici, non ha solo la finalità di alleggerire le casse dello Stato da oneri finanziari che senza il sistema famiglia graverebbero su di esse, fino a schiacciarle, ma quella ben più rilevante di garantire il bene umano delle persone, quel bene che non è possibile conseguire pienamente al di fuori della comunità familiare, come, anche qui in modo inconsapevolmente malinconico, sostengono i movimenti Childfree (liberate/liberati dai figli…). E infine la solidarietà nei confronti dei migranti va pensata non solo in termini di forza lavoro, di contributi, di imposte, come oggi viene spesso fatto, con lucidità e una buona dose di freddezza dai più alti responsabili della previdenza sociale italiana, ma in termini ben più caldi, in termini di nuove forme di comunicazione e di allargamento del cuore: in termini cioè, dice il cardinale, di «annuncio del Vangelo, nella sua radicale e rivoluzionaria semplicità», in termini quindi di evangelizzazione , intesa non come mero proselitismo, ma come espressione efficace della profonda matrice cristiana del nostro Paese, una matrice che tutti accoglie e non rifiuta a priori nessuno. I cattolici non hanno una via esclusiva di accesso alle tecniche ottimali da adottare per politiche efficaci in tema di lavoro, famiglia e migranti.
Né possono garantire che le loro proposte in tema di politiche sociali possano ottenere un infallibile successo. Nelle loro proposte c’è però una peculiarità: esse non vengono avanzate per incrementare appena il benessere materiale delle persone (obiettivo, questo, peraltro del tutto lecito e opportuno e, in passato, conseguito proprio da grandi cattolici impegnati in politica), ma per incrementare il loro benessere globale. Un benessere, dunque, nel quale l’economia non ha un primato, ma si fonde e si confonde con la religione e la spiritualità, con la cultura, con il sapere, con la cura di sé e degli altri. La politica, come la intendono i cattolici, non è solo gestione e controllo degli egoismi sociali, ma esattamente l’opposto di tutto questo, anzi, dice il presidente della Cei, è il suo antidoto. È bene che ci venga ricordato con delicata fermezza.