Foto dell'archivio Siciliani
La legge sul biotestamento, così come era stata formulata dalla Camera dei deputati, è stata approvata dal Senato senza modifiche. La rapidità con cui tutto è avvenuto senza alcun correttivo di miglioramento, come invece spesso avviene nei procedimenti legislativi, induce a pensare che questa accelerazione sia stata dettata da motivi estranei al contenuto della legge. Si è parlato di scelta di civiltà, ma non è proprio il caso di parlare in questo modo, quando entrano in scena scelte di morte delle persone, anche se consenzienti. La morte, anche quando è cercata, è sempre una sconfitta.
Una interpretazione estensiva del consenso informato per i trattamenti sanitari richiesto dalla Costituzione ha ispirato il legislatore nel promuovere la nuova legge che, di fatto, apre la via a una eutanasia strisciante e al suicidio assistito, finora proibito della legge italiana. La ferma determinazione nell’affermare - contro il parere della scienza medica - che idratazione e nutrizione debbono sempre considerarsi terapie, così che si possano rifiutare, rivela una scelta precisa, non a caso osannata dai sostenitori dell’eutanasia. L’approvazione della legge è un evento all’insegna dell’individualismo assoluto, pavesato come conquista della dignità umana, la quale invece ne esce umiliata e sconfitta. Anche la figura del medico ne esce sconfitta, perché non valorizzata e svuotata nelle sue competenze e nella relazione di alleanza con il paziente.
L’evento sollecita ad alcune considerazioni. Innanzi tutto è importante conoscere e far conoscere il contenuto della legge, che contiene anche parti positive, e la necessità di un effettivo coinvolgimento del cittadino nel consenso informato ai trattamenti sanitari, sia nella imminenza della loro attuazione, sia nella previsione di quelli possibili, senza che si abbia la pretesa di poter prevedere le diverse situazioni in cui ci si potrà trovare. Una presunzione che sarebbe fuori da ogni logica. La possibilità di disposizioni anticipate di trattamento, prevista dalla legge, va pure conosciuta.
È uno strumento che può essere utilizzato, ma richiede molta attenzione e cautela. Si dovrebbe evitare di usare formule o scelte generiche su eventuali atti da compiere o da omettere (come quelli riguardanti la nutrizione e idratazione artificiale o l’accanimento terapeutico) su cui dovranno pronunciarsi i medici. Piuttosto si potrà indicare una persona di fiducia, possibilmente il medico, che possa interpretare il proprio pensiero, quando non si fosse più in grado di esprimerlo. Nelle discussioni di questi giorni si è enfatizzato il rifiuto dell’accanimento terapeutico, rifiuto che è sostenuto anche dalla Chiesa, la quale però insegna prima di tutto la inviolabilità della vita umana e condanna l’eutanasia. Sarà bene fare chiarezza sul modo di intendere l’accanimento terapeutico, una espressione che non può essere lasciata alla immaginazione e alla libera interpretazione delle persone, ma va visto caso per caso, con le competenze del medico in una relazione fiduciaria medico-paziente.
Nel quadro di una medicina rispettosa della persona sofferente diventa importante conoscere i trattamenti di cui la medicina oggi dispone per la terapia del dolore e le cure palliative. Ma al di là di tutto c’è una cultura del fine vita che va promossa in una visione non individualista, come quella che emerge dalla legge, ma rispettosa della persona in una società solidaristica. Non possono essere ignorati gli interrogativi sulla sofferenza e sulla malattia, sulla vita e sulla morte, gli interrogativi esistenziali che l’uomo di tutti i tempi si è posto cercando delle risposte. Nelle diverse culture il senso religioso le ha raccolte. La prospettiva cristiana è certamente illuminante e rasserenante non solo per il futuro che apre, ma anche per intendere e vivere il presente, non in modo individualista, ma solidaristico, così da affrontare, non da soli e con maggior coraggio e serenità l’inevitabile evento della fine della vita.