Ansa
Conserva ancora, su un foglio scolorito dal tempo, la personale professione di fede scritta in un momento di grande intensità spirituale poco prima di essere ordinato sacerdote: «Credo nella mia storia, permeata dallo sguardo benevolo di Dio, che nel primo giorno di primavera, il 21 settembre, mi è venuto incontro e mi ha invitato a seguirlo». È il 13 dicembre 1969, quattro giorni prima del suo trentatreesimo compleanno, quando le mani dell’arcivescovo di Cordoba, Ramon José Castellano, sulla testa di Jorge Mario Bergoglio ungono l’inizio di una storia vissuta di sacerdozio, che ancora continua, «h-24», senza ferie e senza sosta, da cinquant’anni. Perché papa Francesco è prima di tutto un prete, cioè un padre che ha continuato ad esserlo e a farlo. E di fatto, anche da Papa, a partire dalle messe quotidiane a Santa Marta, come parroco del mondo: «Io faccio il prete, e mi piace».
Dando questa testimonianza, che forse non potrebbe essere meglio sintetizzata che così: «E questo mettetevelo bene in testa e nel cuore: pastori sì, funzionari no! La vita parla più delle parole. La testimonianza contagia. Si possono fare tante discussioni sul rapporto Chiesa-mondo e Vangelo-storia, ma non serve se il Vangelo non passa prima dalla propria vita. E il Vangelo ci chiede, oggi più che mai, questo: servire nella semplicità, nella testimonianza. Questo significa essere ministri: non svolgere delle funzioni, ma servire lieti, senza dipendere dalle cose che passano e senza legarsi ai poteri del mondo. Così, liberi per testimoniare, si manifesta che la Chiesa è sacramento di salvezza, cioè segno che indica e strumento che offre la salvezza al mondo». E questo papa Francesco lo ha detto il 15 settembre dell’anno scorso a Palermo, davanti alla tomba di don Pino Puglisi, indicando il programma di vita quotidiano che fa l’identità sacerdotale vissuta in prima persona, in persona Christi: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo offerto per voi», lasciandosi letteralmente 'mangiare' dai fratelli, perché «il sacerdote è uomo di Dio 24 ore su 24, non uomo del sacro quando indossa i paramenti», «uomo del dono e del perdono», che «coniuga nella vita il verbo celebrare».
E ha spiegato, rivolgendosi ai religiosi, quanto sia «fondamentale pregare Colui di cui parliamo, nutrirci della Parola che predichiamo, adorare il Pane che consacriamo, e farlo ogni giorno: Preghiera, Parola, Pane», come è stato per padre Pino Puglisi, detto «3P». E ha ricordato ancora queste tre P essenziali per ciascun prete ogni giorno, essenziali per tutti i consacrati ogni giorno: «Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che serve per fare carriera, ma una missione, un servizio, secondo il vero potere, il potere secondo Dio».
E come continuare a declinare queste tre P di servizio, «richiamando alla memoria una storia di grazia», appare in fondo l’unico interesse della sua vita di sacerdote. Alle quali si aggiunge la P di padre che affonda proprio sul «richiamare alla memoria, quella di cui si parla nel Deuteronomio, la memoria delle opere di Dio che sono alla base dell’alleanza tra Dio e il suo popolo». a memoria che invita a recuperare, cioè «una storia di grazia che, data la nostra condizione di peccatori, è sempre fatta di grazie, di misericordia – spiegava Bergoglio già da provinciale dei gesuiti ai suoi confratelli – perché è questa coscienza d’essere fondati sulla paterna misericordia del Signore, che mi fa figlio, che ci rende figli, che ci fonda anche come padri». «Nella Bibbia – affermava allora come oggi – i padri sono coloro che sanno sintetizzare il nuovo con il vecchio e sono portatori di un’eredità inalienabile, senza impadronirsene, perché sia feconda.
Un padre è quello che non smette mai di vedere nel germoglio di grano, pur indebolito da tanta zizzania, la speranza della crescita, e per questo scende in strada ad aspettare il figlio che l’ha abbandonato, come riferisce Luca nella sua parabola ». Ed è proprio questa paternità generativa nell’ordine della grazia, questa 'paternità filiale' che si fa prossima e coincide con il proprium del ministero sacerdotale a cui tante volte ha richiamato i preti il Papa in questi anni. E il susseguirsi assiduo di incontri con i sacerdoti, i numerosi colloqui sempre compresi anche nei viaggi apostolici, i tanti interventi, le omelie, le lettere a questi destinati fin dall’inizio del pontificato e fino al breve vademecum di «10 cose che papa Francesco propone ai sacerdoti » spedito direttamente al cuore dei suoi figli perché accrescano il proprio ministero sacerdotale e il rapporto con i fedeli. el suo insieme un vero e proprio magistero ad hoc che affonda e riemerge dalla materia abbondante di riflessioni, corsi di esercizi frutto d’esperienza di guida, di ritiri spirituali predicati in un vissuto che si appella a luoghi, tempi e persone nell’arco di tanti anni. Da dove attinge quel consiglio sempre attuale del discernimento che viene dal Vangelo insegnatogli dal padre Miguel Ángel Fiorito e l’attitudine d’avere sempre «un orecchio per ascoltare la Parola di Dio e un orecchio per ascoltare il popolo», perché «non esiste l’evangelizzazione di laboratorio, l’evangelizzazione è sempre 'corpo a corpo', 'personale', altrimenti non è evangelizzazione: corpo a corpo con il popolo di Dio, e corpo a corpo con la Parola di Dio», come ha ricordato ancora una volta il 30 ottobre 2018 ai giovani della diocesi francese di Viviers.
E con il filo d’oro che accompagna tutto: «Quello di riconoscersi peccatori e di chiedere perdono che è una grazia. E lo è anche correggersi», come scriveva già nelle sue meditazioni dettate da provinciale dei gesuiti, perché «la fede va chiesta, ci guardi Dio dal non essere insistente con Lui e con i suoi santi» per poter perseguire l’itinerario «paziente e umile» lungo il quale imparare dalla gente e come aiutare la gente.
In questo modo solo «con un servizio umile avremo l’opportunità di condurli a scoprire, nel cuore delle loro difficoltà e delle loro lotte, Gesù Cristo, vivente e operante con la potenza del suo Spirito. Potremo così parlare loro di Dio nostro Padre, che riconcilia a sé l’umanità stabilendola nella comunione d’una vera fraternità. In altre parole, potremo apprendere ad ascoltare la voce dei popoli, che ne hanno una, invece che attribuire a noi stessi di parlare al loro posto, con una lingua lontana chilometri dalle aspirazioni del loro cuore. Questo è essere leali all’incarnazione del Signore, questo è camminare con i poveri». «San Giovanni – scrive – ci ricorda oggi 'l’ultima ora', come momento escatologico, l’ora dei falsi profeti ( Mt 24, 11). L’ultima ora è la venuta di Cristo... ogni venuta di Cristo nella nostra vita. Ci viene chiesto di non dimenticarci, per essere fedeli a questo momento escatologico, dell’unzione che abbiamo ricevuto. Gli anticristi sono fra noi: sono coloro che si sono stancati del Cristo umile».
Nel suo celebre Giornale dell’animaanche Giovanni XXIII, con il suo alto senso del sacerdozio vissuto, aveva scritto in occasione del suo ottantesimo compleanno: «A ottant’anni cominciati, questo è ciò che importa: svuotarmi di me stesso, confortarmi nel Signore, e rimanere in confidenza della Sua misericordia. Soprattutto voglio continuare a rispondere sempre bene per male, e a preferire, in tutto, il Vangelo ». Sono queste le prerogative di un 'papa cristiano', secondo l’espressione che era stata usata da Hannah Arendt per definire Giovanni XXIII e che spinsero la filosofa ebrea a scrivere quel profilo singolare di un uomo che alla banalità del male oppose la quotidianità pratica del bene. E che quest’uomo cristiano, questo sacerdote, come papa Francesco, s’inscrivesse nella linea di coloro che spesso in umiltà hanno praticato, e non solo predicato, l’imitatio Christi è un problema ben più ampio che attiene proprio alla quotidianità del bene e al suo fiorire, rispetto alle dinamiche di un’istituzione autoreferenziale e narcisistica della Chiesa. Nella quale invece sempre «il grano e la zizzania cresceranno insieme e la nostra umile missione di unti dal Signore sarà soprattutto quella di proteggere come un padre il grano, lasciando agli angeli il compito di falciare la zizzania».