Mercoledì scorso le agenzie battevano la notizia che molti da 24 ore aspettavano con ansia: Nicola, 21 mesi, scomparso dalla sua casa nel Mugello, era stato ritrovato, sano e salvo. La vicenda per qualche ora ha scavalcato nei media ogni altra, com’è naturale: un bambino perduto è qualcosa che tocca tutti, e si è felici, per una volta, di scrivere, e di leggere, una buona notizia. Poche ore dopo, nel medesimo giorno, passava sulle agenzie la storia di un altro bambino, di soli sette anni. Si riferiva brevemente che in un Tir in un’area di servizio sulla A13, tra Padova e Bologna, erano stati trovati, nascosti nel rimorchio, tredici afghani, di cui otto minorenni, e fra loro appunto anche un bambino. Nell’autogrill i poveretti, allo stremo, erano stati dissetati e sfamati. Veniva dalla Serbia il Tir, ma il viaggio dei tredici era iniziato in Afghanistan. In Turchia per 1.000 euro il gruppo aveva ottenuto un altro passaggio. Dovevano mantenere un assoluto silenzio e stare immobili, perché nessuno sospettasse, in eventuali controlli. Fino a che, in sosta verso Bologna, l’autista ha avvertito la polizia. Da un pertugio nel cassone sono sbucati i fuggiaschi, e il bambino. Immaginiamo in quali condizioni, dopo giorni e giorni fra le lamiere arroventate da un’estate bollente. 34 gradi fuori, quanti nel fondo di un camion? Bastava l’acqua per tutti, o ci si contendeva le ultime bottiglie?
Sono vicende frequenti purtroppo, ma in quella notizia colpiva come un pugno l’età del più piccolo. Sette anni? Come i nostri figli o nipoti che hanno finito ora la prima elementare. Immaginiamoci di lasciar partire un bambino così nel cassone di un Tir, verso un altro Continente. Assolutamente disperati bisogna essere, non credete, per osare tanto? Un bambino così, come sopporta il caldo, la mancanza d’aria, e il buio, e l’angoscia? Dormire tramortiti gli uni addosso agli altri, nel rombo assordante del motore. Tremare, se ci si ferma: che succede? È una dogana, sono poliziotti, e di quale Paese? Forse di notte, in zone disabitate, il camionista fa scendere i segreti compagni, distribuisce del pane. Poi, dentro: nell’odore di pipì e di sudore, nel tanfo acre della paura. Addormentarsi di nuovo, per sfinimento; svegliarsi ai colpi duri sulle buche dell’asfalto. Nell’oscurità bollente sentire che l’aria manca, percepire il panico che sale.
Il bambino di cui non veniva riferito il nome ha sopportato tutto questo. Poteva cedere nell’odissea tra due mondi, dall’Afghanistan all’Europa. E nessuno ne sapeva niente, ma anche il bambino del Tir poteva considerarsi perduto e in pericolo di vita, come il Nicola del Mugello. Ce l’ha fatta invece: è salvo, in un centro di accoglienza. A sette anni, il piccolo 'clandestino' è arrivato vivo.
Ma, ne avete sentito parlare? Si sa, i soliti migranti. Non interessa. Nemmeno se c’è un bambino fra loro, che ha sfiorato la morte. Abbiamo gioito, naturalmente, per Nicola, ma del ragazzino afghano avete saputo? Sul web le notizie scorrono, e se in pochi le cliccano spariscono rapidamente. E pochi, evidentemente, sono stati colpiti da quel bambino vivo, dopo giorni in un rifugio sozzo e rovente.
Uomini e no, lo sappiamo ormai: ci siamo 'noi' e ci sono 'loro', che non contano come noi. Anche i bambini. 'Bambini e no', si potrebbe chiamare un film che racconti la paura, la fame, la sete e spesso la morte dei piccoli migranti. Nemmeno il nome viene riferito. Storie che affiorano in poche righe sul web e subito si inabissano - nel mare opaco di un’immensa distrazione.