La proposta di eleggere Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica, dando così vita a un 'regime semipresidenziale di fatto', ha, se non altro, il merito di aver riaperto il dibattito sull’assetto delle istituzioni, che si era spento dopo il fallimento politico-parlamentare e/o referendario dei tentativi di riforma. Le opinioni contrarie sono di due tipi: alcune sono ostili al semipresidenzialismo e più in generale a ogni soluzione che si discosti da quella strettamente parlamentare, altre, pur essendo favorevoli, ritengono che un simile cambiamento non possa avvenire solo 'di fatto' perché esso comporterebbe una serie di aggiustamenti, con l’introduzione di adeguati contrappesi ai nuovi poteri presidenziali.
Per contribuire a impostare correttamente il dibattito – e senza entrare nel merito della proposta, che esprime, come quelle contrarie, una opzione soggettiva – è opportuno fare tre considerazioni preliminari. La prima: nel valutare la compatibilità di questa soluzione con il testo costituzionale è sbagliato assumere come unica vera una delle tante interpretazioni che la dottrina ne ha dato. Il testo costituzionale offre argomenti a favore di ciascuna delle diverse tesi: quelle che configurano le funzioni del Presidente della Repubblica in termini quasi esclusivamente ornamentali (è il simbolo dell’unità nazionale, nessuno dei suoi atti «è valido se non à controfirmato dai ministri proponenti » (art, 89), e quelle che ne teorizzano un ruolo attivo a garanzia del buon funzionamento delle istituzioni (tanto che «può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse» (art.88).
Si tratta di una 'facoltà' di tale forza che si è sentita la necessità di escluderne l’esercizio negli ultimi sei mesi del mandato presidenziale (secondo comma). La prassi del diverso ruolo esercitato dai precedenti Presidenti della Repubblica avalla questo orientamento. La seconda considerazione consiste, appunto, nel prendere atto che ogni funzione stabilita dalle norme ha un livello di forza dipendente, in larga misura, dalle capacità del soggetto al quale è stata attribuita. Anche le istituzioni, come le idee, camminano con le gambe degli uomini. Questa constatazione vale per tutte le istituzioni: pubbliche, private, sociali, religiose. Che l’autorevolezza internazionale di Mario Draghi incida sul livello del suo potere è di tutta evidenza. La terza considerazione, frutto di una chiara evidenza, è che il sistema ordinamentale non tollera vuoti perché le funzioni, soprattutto quelle attribuite dalla Costituzione, sono essenziali per la sopravvivenza della collettività.
L’ambito di ciascun potere, compreso quello del Parlamento, presuppone un livello accettabile di funzionamento dell’organo. Ogni potere ha un ambito effettivo variabile a seconda di una serie di circostanze attinenti al livello di buon funzionamento dell’insieme degli organi. Se così è, non vi è molto da discutere se l’eventuale elezione di Mario Draghi determinerebbe una sorta di semipresidenzialismo. Lo determinerebbe solo se il Parlamento non riuscisse a funzionare in modo adeguato. L’Italia sta vivendo un periodo di grande fragilità (basta pensare all’attuale formula di governo di centro-sinistra-destra) e, insieme, di grandi potenzialità all’interno e in sede internazionale. È necessario mantenere e sviluppare un ruolo attivo in Europa e garantire un nuovo sviluppo ambientalmente orientato. Non ci si può privare del vantaggio che al Paese deriva dalla competenza e dall’autorevolezza di Mario Draghi. Poco importa poi, anche perché, come si è visto, le formule di per sé sono poco significative, se svolgerà il suo ruolo al servizio del Paese come presidente del Consiglio dei ministri o come presidente della Repubblica.
Giurista, professore emerito nell’Università di Roma Tre