«Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente se riguardano il futuro». Viene in mente questa battuta a rileggere le stime sull’economia diffuse negli ultimi mesi dal Centro studi di Confindustria. Nel luglio scorso il Csc temeva una mezza apocalisse nel caso che al referendum del 4 dicembre avesse prevalso il fronte del No. Ieri, in un rapporto terminato dopo la chiusura delle urne, le stime sul Pil sono state invece riviste al rialzo. La crescita italiana dovrebbe raggiungere lo 0,9% quest’anno e lo 0,8% il prossimo, rispettivamente due e tre decimali in più di quanto previsto a settembre.
Per il 2018 poi potremmo centrare l’1% tondo, cifra che sarebbe deludente ovunque, ma che nell’Italia dello zerovirgola fa quasi bella figura. Insomma, il tempo resta minaccioso, la strada sdrucciolevole e l’andatura (troppo) lenta. Ma nonostante tutto andiamo avanti e forse non dovremo fronteggiare una nuova recessione, affermano oggi gli stessi previsori. Il rapporto diffuso a luglio aveva fatto rumore, anche perché Confindustria si era appena schierata pubblicamente per il Sì al referendum. In un capitolo intitolato 'Le conseguenze economiche del No' si stimava uno «scenario alternativo » con il Pil in calo dello 0,7% nel 2017 e dell’1,2% nel 2018, e uno striminzito +0,2% nel 2019. In totale nel triennio l’economia avrebbe perso 4 punti di Pil rispetto allo scenario base e ben 600mila posti di lavoro, in una spirale negativa innescata dall’instabilità politica. Ipotesi fosche, che ora il nuovo rapporto ridimensiona, limitandosi a parlare di meno drammatici «rischi al ribasso».
Non è simpatico fare le pulci al lavoro degli altri. Il Centro studi di Confindustria ha una lunga, libera e apprezzata tradizione nei rapporti di previsione. Nei primi anni di crisi, i suoi rapporti sono finiti nel mirino dei governanti di turno («basta con questi corvi», sbottò una volta l’ex ministro Claudio Scajola) perché prevedevano scenari foschi che, purtroppo, si sono materializzati. Stavolta forse non andrà così, e sarebbe una fortuna per tutti noi, industriali compresi.
Ma la 'stecca' del Csc (come casi analoghi in Gran Bretagna per la Brexit e negli Usa per le presidenziali) ripropone non tanto il tema degli errori di previsione, sempre possibili, quanto l’attendibilità delle stime economiche rispetto agli eventi politici, che spesso spesso inducono a vaticinare l’apocalisse e sui quali spesso è davvero difficile restare distaccati osservatori. E invece, lo diciamo sempre anche a noi stessi, è necessario.