Apatia delle metropoli e (dis)illusioni politiche
martedì 15 giugno 2021

Il long-Covid sembra colpire non solo i singoli, ma anche le comunità. Apatia, respiro corto, fatica cronica sono sintomi che appartengono anche al corpo sociale, come dimostra lo strano, lento e – ammettiamolo – noioso percorso di avvicinamento alle elezioni amministrative di ottobre.

In attesa come siamo dei fondi del Pnrr e alla luce del ruolo rilevante che avranno le grandi città nel ridisegno complessivo del Paese e nell’investimento nel nostro futuro comune, ci si potevano attendere sussulti di protagonismo e ondate di partecipazione anche da parte di categorie che da tempo non si espongono sul fronte politico. Non sta accadendo. La retorica buona della Ricostruzione e i paralleli con l’impeto con cui il Paese affrontò il secondo dopoguerra novecentesco, evidentemente, non stanno attecchendo. Né stanno producendo effetti emotivi travolgenti i grandi temi che proprio nelle metropoli dovranno trovare concretezza: la transizione ecologica e digitale, la riforma del mercato del lavoro e del welfare nella direzione dei giovani e delle donne, la lotta alle diseguaglianze sociali.

Da Torino l’ultimo segnale: la partecipazione – oggettivamente scarsa – alle primarie del centrosinistra. Paure post-pandemiche? Beh, non sembrerebbe guardando all’entusiasmo con cui i cittadini italiani – ed europei – stanno ripopolando, per esempio, gli stadi. Ma quello che viene da una capitale poi diventata 'città dei motori' non è certo l’unico segnale di apatia. Da Roma a Milano, da Bologna a Trieste e alla Calabria il tratto unificante è la fatica quasi disumana di tutti i partiti e di tutte le coalizioni a trovare candidati e a mobilitare sostenitori. Per giustificare tale 'crisi vocazionale' si è tirato in ballo di tutto, addirittura la congruità degli stipendi da primo cittadino. Un argomento troppo blando per nascondere la tragica ed emblematica fuga della classe dirigente, politica e non politica. Parlare di 'ripieghi' in merito alle scelte che stanno emergendo sarebbe ingiusto e ingeneroso, ma non è offensivo dire che tali scelte sono arrivate e stanno arrivando non per convinzione, ma per esaurimento (dei tempi e delle opzioni realmente sul tavolo).

Due esempi, per par condicio: a Roma la punta del Pd è l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, frutto di due mancate svolte, il fallito accordo con i 5stelle e la rinuncia a competere dell’attuale presidente del Lazio Nicola Zingaretti; a Napoli il centrodestra nemmeno ha scelto, ma 'si è fatto scegliere' da Catello Maresca, pubblico ministero nella stessa città sino a poche settimane fa, in barba a tutte le battaglia di quella coalizione sui nodi irrisolti tra politica e giustizia.

E anche dove il quadro si è sommariamente composto l’avvio della campagna elettorale ha tratti desolanti e autoreferenziali. Polemiche stanche che non riescono ad appassionare nemmeno gli addetti ai lavori. Intorno ai protagonisti, troppe nostre città sembrano sorde e indifferenti. Lasciano fare, le città, come già sapessero che le aspettative del post-Covid saranno deluse. Non si intravedono sogni e visioni, che restano affare diverso da cantieri e progetti.

L’apatia, però, è sempre pericolosa. Anche se si ha la sensazione che ai partiti, alla fin fine, possa addirittura far comodo: quest’apatia non scomoda e non pretende cambiamenti, e permette di rinviare ancora una volta quei conti che la politica deve decidersi a fare con se stessa. Ma è un’illusione. Dietro l’apatia, infatti, cresce l’ombra di un imponente astensionismo, così grosso da favorire ancor di più il lavoro nero dei predatori e il lavoro grigio delle tecnocrazie.

Eppure, da qui alle amministrative, tempo per risvegliare sogni e coscienze ce n’è ancora. Se i partiti non ne hanno voglia – e davvero sembrano non averne –, sono tante e diverse le forze che possono assumere iniziative nuove e coinvolgenti. Anche nelle realtà cattoliche, che insieme ad altri hanno provveduto a organizzare una riserva di speranza nei mesi più duri della pandemia. «Primerear », anticipare, prendere l’iniziativa, incita spesso papa Francesco: è necessario perché l’apatia è subdola e pervasiva.

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