«I fascisti sono una trascurabile maggioranza». Quando Ennio Flaiano annotava il suo pensiero sul Diario Notturno era il 1956 e il fascismo era ufficialmente defunto e sepolto da 11 anni. Oggi è defunto e sepolto da 71 anni eppure ieri a Como si è tenuta una manifestazione nazionale antifascista. I fascisti dunque ci sono ancora? E quanti sarebbero? A giudicare dalle irruzioni di teste rasate di questi mesi e, con improvvisa frequenza, di qualche giorno fa ci sono. Le differenze con i bisnonni sono abissali, a tal punto da far dire che sono 'fascisti immaginari'.
Quelli erano reduci di una guerra mai finita, temprati dalla trincea, incapaci di sentirsi in pace e 'condannati' al menar le mani come unica possibile modalità politica e comunicativa. Questi sono reduci di una crisi, forse mai finita, temprati dai social network, e cercano palcoscenici e consensi dotati di un armamentario retorico basico. E quanti sono, dunque? Pochi, stando al sommario censimento di gruppi e gruppuscoli. Un’enormità, se si dà retta a Flaiano. Il geniale abruzzese, però, non pensava al fascismo come categoria politica, ma spirituale. Anche oggi, se c’interroghiamo sui «valori del fascismo», ne vien fuori un elenco ineccepibile – patria, nazione, Stato, famiglia e, senza chiedere il permesso al Padrone di casa, Chiesa – ridotto a un banale armamentario retorico vuoto come un soufflé; e posticcio, perché agli italiani bisognava pur dare qualcosa in cui credere. E le idee? Il fascismo non ebbe né mai si diede un’ideologia, e in questo la differenza con altri fenomeni con alcune importanti analogie, come il nazismo, è marcata.
Lo stesso Mussolini, nella voce 'Fascismo' dell’Enciclopedia Italiana, da lui stesso redatta, scrive che all’inizio fu 'azione', un movimento di protesta che si alimentava di rancore. Allora l’Italia usciva da una guerra vinta ma la sensazione di molti era di non aver vinto un bel nulla e di stare peggio di prima; oggi l’Italia pare uscita dalla crisi, ma la sensazione di molti è di non esserci usciti per nulla e di stare peggio di prima. Il rancore (vedi il Rapporto Censis) è il sentimento prevalente, potenzialmente distruttivo, e il fascismo ha sempre saputo impugnarlo e volgerlo a suo favore. Il fascismo come categoria spirituale non è mai morto.
È sepolto, sì, in fondo all’anima di molti, ma pronto a riprender vita. Per questo è difficile combatterlo. Fosse soltanto una categoria ideologica o politica, una manifestazione potrebbe anche servire, per negare il disprezzo fascista della democrazia e dei valori dell’accoglienza e della convivenza, soprattutto dell’uguaglianza, così tenacemente negata da Mussolini. Ma che fare di fronte a una categoria dell’anima? Farà sorridere, ma la soluzione la indica da tempo la Chiesa cattolica, e sta nell’educazione. L’Italia, per tutelare se stessa e salvare i suoi cittadini, non investirà mai abbastanza in educazione. Un’educazione libera, innanzitutto dal piccolo demone della paura che, alimentata ad arte, è il primo strumento di controllo degli individui, e delle masse, da parte dei politici spregiudicati.
L’educazione ti fa distinguere la realtà dall’allucinazione, la verità dalla falsità, il bello dal brutto, il bene dal male. In altri termini ti rende libero; e questo potrebbe non essere apprezzato da chi sa come un individuo libero voterà come pare a lui, secondo coscienza. E i gruppi neofascisti? Dobbiamo ignorarli con una scrollata di spalle? No, ma nemmeno fermarci a loro. Faremmo come quei tali che, di fronte al dito che indica la luna, si aggrappano al dito. Quei gruppi sono uno dei tanti sintomi del virus che infetta l’anima; il sintomo va combattuto ma ben sapendo che la malattia è altra cosa. Anche Ennio Flaiano, in fondo al suo 1956, sembrava saperlo e, da ottimo 'educatore ironico', non ci lasciava soli.
Dopo aver denunciato il male, infatti, suggeriva pure la terapia: «Un giorno – concludeva – il fascismo sarà curato con la psicoanalisi». Forse basterebbe un piccolo esercito di educatori, ossia di maestri, imprenditori, politici e - azzardiamo preti capaci di immettere nello sfibrato corpo della nazione i provvidenziali anticorpi, prima che il virus, sotto spoglie adattate ai tempi, riemerga con tutta la sua forza distruttiva.