Invasione, truppe, bombardamenti. Il vocabolario bellico che pensavamo di aver consegnato per sempre alla storia torna improvvisamente a occupare i nostri cuori e le nostre menti. Proprio come due anni fa con la pandemia – che ci sorprese, piombandoci addosso dalla Cina – così in questo febbraio 2022 siamo spettatori dell’inizio di un conflitto nel cuore dell’Europa che Stoltenberg, il segretario generale della Nato, ha definito «il più pericoloso dal 1945».
Guerra e pandemia, dunque, parole antiche che dalle profondità ancestrali delle vicende umane riemergono e acquistano nuovo significato nel tempo in cui viviamo. Da diversi anni papa Francesco ha usato l’espressione «guerra mondiale a pezzi» per dire che la prima fase della globalizzazione – quella iniziata con la caduta del muro di Berlino, con il disegno di un’unificazione planetaria nel segno della crescita e del mercato – ha ormai da tempo dato vita a un quadro molto più controverso. Dove si moltiplicano i fronti di tensione e conflitto. Il terrorismo internazionale, l’edificazione di muri, i conflitti armati, le guerre civili, le persecuzioni delle minoranze etniche e religiose sono le tante espressioni del disordine che regna a livello internazionale.
Nella fase matura del mondo globalizzato è in atto un lento e delicatissimo processo di formazione di aree politiche-economiche-culturali omogenee che cercano di ridefinire il loro posizionamento strategico a livello regionale e globale. Oltre alle iniziative che Putin sta perseguendo ormai da diversi anni per affermare il suo disegno neo-imperiale, ci sono le pretese della Cina su Taiwan, le ambizioni della Turchia, il nuovo ruolo dell’India e la stessa crescita della Nato. È questo il processo di «scontro», calcolato e incalcolabile, che in profondità sta muovendo le grandi faglie del mondo e che rischia di generare terremoti devastanti in superficie. Prima di tutto, la tensione si gioca sui tanti confini non stabilizzati dove si scaricano i disegni di potenza. L’Ucraina fa parte della storia russa oppure no? Contese pericolosissime perché, come insegna la storia, non hanno mai una soluzione definitiva.
L’alternativa alla strada che porta a massacri, pulizie etiche, guerra fratricide è la ricerca di composizioni che possono nascere solo attraverso l’ascolto e il dialogo. Nel moltiplicarsi di questi terreni di scontro, appare altresì evidente la fallacia del pensiero che ha immaginato la semplice eliminazione di ogni confine: aver cercato di negare la pluralità delle storie culturali ha finito per produrre, per reazione, l’affermazione violenta del confine. Come dominio, possesso, chiusura. Quando invece sappiamo che il confine è anche il punto di congiunzione della diversità e perciò luogo possibile del dialogo e dell’incontro. La guerra oggi si produce nel quadro di una interdipendenza economica e tecnologica che lega insieme interessi diversi e spesso divergenti. Ciò vuol dire che, ben al di là del teatro degli scontri, ci si combatte anche attraverso le ritorsioni economiche, commerciali, finanziarie.
Una guerra quindi molto più complessa e sofisticata che, nel caso ucraino, è già cominciata: Putin ha in mano l’arma delle forniture di gas, grano e mais; Biden ha già annunciato misure come il taglio dei finanziamenti occidentali al debito sovrano russo. E non si può dimenticare l’inevitabile spostamento di popolazione: quanti profughi arriveranno nella Ue, con quali conseguenze umanitarie ed effetti politici? È proprio questa interdipendenza che deve preoccupare, perché diventa molto difficile per qualunque attore in campo calcolare le conseguenze delle proprie iniziative.
Sarebbe saggio riconoscere che nessuno sa esattamente quale gioco si sta giocando. Semplicemente perché nessuno si è mai mosso in uno scenario di questo tipo.
La guerra ovviamente tocca il piano della comunicazione. La propaganda è da sempre risorsa strategica durante i conflitti. Sono settimane che, da una parte e dall’altra, si sta combattendo sul piano comunicativo per cercare di intervenire sui reciproci piani di azione. E col suo discorso alla nazione – e al mondo intero – Putin ha impresso una forte accelerazione. Il fronte comunicativo sarà molto importante nelle prossime settimane e sarà bene non farsi trovare impreparati. Sappiamo infatti che il presidente russo ha già usato le fake news per interferire in vicende elettorali (non solo) americane e molti temono che non si farà scrupoli a usare il sabotaggio informatico. E come con la pandemia – quando la semplice conta dei morti giornalieri non era in grado di dare il quadro di quello che accadeva – occorrerà capire come parlare di un conflitto che, al di là dei singoli episodi, sfugge alle spiegazioni superficiali del giorno per giorno.
Nel legame inscindibile che lega oggi le diverse parti del mondo, e alla luce delle faglie profonde che si stanno muovendo sotto la crosta della globalizzazione, il rischio vero è che la guerra diventi una sorta di stato permanente che conosce momenti più acuti di crisi, in una condizione di conflitto cronico. Adesso si deve affrontare l’emergenza Ucraina. Ma è importante sapere già che non ci saranno vincitori. Mentre si gestisce l’emergenza, occorre lavorare a un metodo per comporre le tante fratture che spaccano il mondo. È a questo piano superiore, più che all’interesse di parte, che occorre guardare se si vuole cercare di percorrere la via, oggi più che mai difficile e necessaria, della pace.