Si dice che noi italiani siamo molto bravi nella reazione immediata alle difficoltà, mentre lo siamo un po’ meno nel programmare le cose in anticipo. La scuola al tempo del Covid-19 sembra confermare questa tesi.
Quando alla fine di febbraio dell’anno scorso l’epidemia si diffuse rapidamente nel Paese, l’istituzione scolastica fu capace di rispondere prontamente all’emergenza, mettendo in campo qualcosa di assolutamente inedito, la didattica a distanza. In quei mesi non tutto funzionò alla perfezione, ma, al netto di alcune criticità – a cominciare dalla carenza di strumenti informatici nelle famiglie socialmente più svantaggiate – nel complesso il sistema fu capace di rispondere alla sfida. Se la pandemia fosse scoppiata solo vent’anni fa, la scuola si sarebbe fermata e basta, mentre così in qualche modo è andata avanti.
Ma è chiaro a tutti che la didattica a distanza è un surrogato della vera scuola, fatta di frequenza, dialogo educativo, confronto culturale, socializzazione. Così, in vista dell’inizio del nuovo anno scolastico, si era provato ad attrezzarsi. Dirigenti scolastici e docenti avevano lavorato sodo per una riapertura in sicurezza, forse, però, non del tutto supportati dalla politica e dalle istituzioni. Anche perché – si ricorderà – la scorsa estate, nonostante i moniti degli esperti (quelli veri), in molti erano scettici sull’avvento di una seconda ondata di contagi in autunno. Invece la seconda ondata c’è stata, è stata peggiore della prima, e a inizio 2021 ce n’è stata pure una terza.
Ripercorrere quanto è successo dovrebbe servire a evitare di commettere gli stessi errori. Oggi ci troviamo in una situazione analoga a quella dell’estate dello scorso anno: contagi e morti al minimo dall’inizio della pandemia. Ci sono tuttavia diverse ragioni per non essere tranquilli. Pare che la cosiddetta variante Delta del virus sia 8 volte più contagiosa di quella attualmente dominante. Mancano due
mesi all’inizio del nuovo anno scolastico. Che cosa è stato fatto e che cosa no? Che cosa siamo ancora in tempo a fare? Alcune questioni riguardano il contesto di tutto ciò che ruota attorno alla scuola, per esempio e per primo, il tema della mobilità degli studenti: è pronto ovunque un efficace piano per il trasporto pubblico che preveda di viaggiare e far viaggiare in sicurezza loro e tutti gli altri utenti? Altre concernono più da vicino l’organizzazione scolastica in quanto tale. Con classi di 30 alunni il distanziamento interpersonale è un’utopia. Ma per ridurre il numero dei ragazzi in una classe è necessario aumentare l’organico dei docenti. Non mi risulta che ci sia stato un incremento significativo in tal senso. C’è poi il capitolo degli spazi e dell’edilizia scolastica. E anche in questo ambito le cose vanno molto a rilento. Infine, c’è quanto attiene alla responsabilità individuale di ogni insegnante. E qui è giusto rilanciare il sacrosanto appello del generale Figliuolo alla vaccinazione degli operatori scolastici: che più di 200mila non si siano ancora immunizzati è un dato grave e preoccupante.
L’ultimo giorno di scuola (che per me è stato davvero l’ultimo, perché da settembre la mia carriera di docente continuerà all’università) al momento dei saluti un ragazzo mi ha chiesto: «Prof, posso abbracciarla?». «Il protocollo anti-Covid non lo consentirebbe...». «Ma io ho avuto il Covid e lei è vaccinato!». Ho dunque acconsentito all’abbraccio. In classe è scoppiato un applauso. Siamo esseri umani: ci esprimiamo anche attraverso il corpo, non solo dallo schermo di un pc. 'In presenza': speriamo che la scuola, con il fattivo contributo di tutti, torni presto a esserlo davvero. Alla prova c’è un intero Paese.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: