Si dice nel linguaggio comune, quando un nonno si permette di esprimere qualche pensiero differente o che suona strano, che il nonno sta bene ma talvolta sembra un po’ rimbambito. L’espressione è certamente affettuosa, ma allude a un modo di ragionare o forse di sragionare a un tornare indietro a un funzionamento cerebrale, semplificato e non ancora completamente sviluppato come quello di un bambino. È un modo di dire del tutto errato, perché il nonno sta biologicamente perdendo potenza cerebrale in quanto i suoi circuiti nervosi hanno perso nel tempo un gran numero di sinapsi, mentre il bambino è al massimo del numero di sinapsi e di potenzialità cerebrale. Quindi scientificamente un processo di 'rimbambimento' sarebbe, in realtà, l’agognata terapia per tutti gli anziani. E se questo fosse possibile, ci sarebbe la fila per rimbambire. Questa digressione su possibili superficialità del linguaggio, serve a ribadire un concetto: il bambino viene erroneamente considerato ancora cerebralmente immaturo e certamente immaturo è, per anni ed esperienza di vita, ma non lo è per funzionamento cerebrale.
Questa considerazione errata della potenzialità cerebrale del bambino ha, a mio avviso, conseguenze negative sia sul piano educativo sia su quello sociale. Piano educativo. Ricerche sullo sviluppo cerebrale del cervello umano ormai riportate in tutti i libri di testo, e studiate anche dal sottoscritto per molti anni, descrivono con accuratezza il suo sviluppo in termini sia anatomici (entità di neuroni e di connessioni sinaptiche) che funzionali (plasticità cioè la proprietà di cambiare funzione in risposta all’ambiente tramiti i sensi esogeni ed endogeni).
Da questi studi derivano le seguenti indubbie conclusioni: nei primi 3 anni di vita il cervello ha un rapido sviluppo dei circuiti cerebrali che raggiunge l’acme intorno ai 3 anni quando la potenzialità del cervello è massima e in particolare proprio nel lobo frontale, che è la parte più nobile della corteccia cerebrale con riferimento al ragionamento; tale potenzialità si mantiene molto alta fino all’adolescenza; segue un plateau di alta sensibilità fino all’età media di circa 30 anni; dopo di che, con la riduzione delle connessioni sinaptiche, inizia una progressiva riduzione fino all’età della fisiologica vecchiaia. L’adulto, per condizioni inevitabili di ordine biologico, perde in potenzialità, ma acquista in termini di sicurezza di funzione, comunemente additata come il vantaggio dell’esperienza. Sostanzialmente l’adulto (dopo i 40 anni) e l’anziano fanno bene quello che hanno acquisito o appreso con l’esperienza. Intorno a quest’età cambiar lavoro è possibile ma può incontrare maggiore difficoltà. Chiaramente vi è una forte diminuzione dei processi creativi e innovativi.
Queste premesse scientifiche indicano che sarebbe saggio fare iniziare un apprendimento strutturato già alla scuola materna, intorno a 3-4 anni quando la facilità di apprendimento del bambino è massima. È necessario, oltre che doveroso considerare la scuola dell’infanzia che accoglie i bambini nel periodo più importante per lo sviluppo del loro cervello, come un investimento non rinviabile sulle risorse umane e non solo come un parcheggio per consentire ai genitori di occuparsi della loro vita lavorativa. Per la persona scettica sarebbe sufficiente riflettere sulla facilità che il bambino ha di imparare le lingue rispetto anche a un giovane adulto. Trascurare queste potenzialità di apprendimento del bambino da parte di noi adulti implica responsabilità morali oltre che pedagogiche. Piano sociale. L’insegnamento nell’età infantile avrebbe inoltre vantaggi sociali per i bambini, che in realtà non sono vantaggi ma sacrosanti diritti. Ogni bambino ha cioè diritto di essere trattato dalla società al pari di qualunque altro bambino, e non in relazione alla famiglia e al luogo di nascita.
Appiccicare ai piccoli corpi un cartellino con il loro valore di mercato, cioè la provenienza da famiglie ricche o povere, appare, spero, anche al più cinico degli esseri umani, un misfatto non solo da condannare ma di cui vergognarsi. La scuola dell’infanzia, resa non più opzionale, potrebbe offrire a tutti i bambini senza distinzione una base educativa e possibilità, tutelandoli almeno in parte da situazioni di difficoltà sociali, discriminazioni educative ed economiche. Ho già fatto notare ('Avvenire', 17 Aprile 2021 ) che, nella vita proprio come nello sport, è doveroso far partire tutti i bambini dalla stessa linea di partenza. Per poter salire con le proprie ambizioni e capacità la scala sociale che ancora oggi per i meno fortunati è davvero ripida e con molti scalini difficili, quando non impossibili da scavalcare, mentre ha molti meno scalini, e assai più agevoli, per i figli di papà.
Neurobiologo, presidente emerito dell’Accademia dei Lincei