«L’abbiamo fatto per gioco e un po’ per noia. A Napoli non c’è molto da fare». Hanno giustificato così, gli autori, tre giovani e un ragazzo, tutti incensurati, l’infame 'bravata' ai danni di un disabile gettato in un cassonetto e lì rinchiuso per alcune ore. Non solo una confessione choc, ma, parola per parola, una di quelle frasi in discesa che accompagna sempre più verso un baratro senza fondo, e senza più traccia di un seppur minimo residuo di umanità. La banalità è il coefficiente più alto di un male privo finanche di radici; raccolto, al momento come un veleno di strada, sparso – questo sì – su un terreno già inquinato da altre scorie. Hanno tenuto a dirlo subito, tutt’e quattro in coro, che loro non appartenevano a nessuna baby-gang, che niente avevano a che spartire con la camorra, rivendicando lo status di figli di gente per bene, e finanche di lavoratori in tutta regola.
È stata la prima preoccupazione quella di tirarsi fuori e prendere le distanze dalla sezione ordinaria, o dalla 'faccia conosciuta' dei mali di Napoli: violenza organizzata, delinquenza giovanile e tutta la vasta filiera dei reati di strada. Al di fuori di questo recinto sembra che il male (e non solo il mare, per parafrasare un famoso titolo di Anna Maria Ortese) non bagni Napoli, diventata nel frattempo una grande zona franca dove tutto il resto può essere tollerato, o quantomeno derubricato a semplice fatto di cronaca. In ogni sua sequenza, una più miserabile dell’altra, l’agguato di Fuorigrotta pone di fronte a una via del male che continua a farsi largo per conto e per germinazione proprie in una realtà sconvolta prima di tutto nei suoi connotati più comuni e riconosciuti, e che fanno oggi pensare più al folclore e al dileggio quando qualcuno s’azzarda ancora a tirar fuori il proverbiale ' core ’e Napule'.
Si può far del male alla propria terra affrontandola a 'mano armata' ma anche a cuore spento e disarmato, facendo in modo che mai lo tocchi la pietà: neppure se davanti c’è un disabile, un uomo privo delle difese più ordinarie e certo non in grado di opporsi a quella micidiale morsa di crudeltà e nullitudine che per 'gioco e per noia' gli veniva scaricata addosso. Una ferocia a cuore spento, fino al punto da reclamare poi non solo giustificazioni da sonno della ragione, ma attivare l’altra degna sequenza che fa uscire da ogni cronaca e male ordinario – se mai esistessero – questo ennesimo infortunio di marca napoletana. Poteva mancare di questa tragedia, il ' post' sui social media? Anche la modernità e, quando sono utilizzate con la mano sbagliata, le nuove tecnologie esigono dazio perché amplificano tutto, figurarsi i misfatti e un dileggio così estremo.
Così, sorrisi, telefonini puntati tutt’intorno al cassonetto e saltelli accompagnati da cori calcistici contro un’odiata rivale, hanno completato la scena, pronta per essere condivisa e attirare, magari, altri sorrisi e, perché no, qualche like in aggiunta. Una regia del peggio, insopportabile anche per Napoli. E c’è dell’altro. Una volta identificato, il quartetto ha completato l’opera in modo del tutto degno alla vicenda: non bastassero le giustificazioni – il gioco, la noia – ha chiamato in causa addirittura la vittima. Sui social-media è apparsa così il triste finale di una tristissima storia, con il disabile costretto a mentire e 'confessare' che, sì, era proprio uno scherzo, e che lui era consenziente. Si trattava di amici. Altre volte avevano ammazzato così la noia. Ammazzare la dignità, quello no. Ai quattro non era venuto in mente.