Anche dopo che Silvia sarà liberata (speriamo presto, siamo qui che aspettiamo dopo aver avuto la conferma che è viva), si discuterà del problema: ha fatto bene o ha fatto male ad andare là? Temo che purtroppo abbia ragione Andrea Lavazza, quando scrive che le spiegazioni dell’astio che Silvia suscita in quelli che la criticano sono principalmente due: aiuta gente che i critici non amano, ed è una donna. Anzi, una ragazza. Ha solo 23 anni.
Per i critici, una ragazza che si mette a disposizione dei terzo-mondiali non va approvata, perché non deve mettersi a loro disposizione, ma a nostra disposizione. L’andar là e spendere la vita per aiutare i poveri che vivono là, contiene l’idea di un tradimento: 'Non ci sono poveri a Fano? A Monza?'. E quindi nel fatto che è stata rapita e sequestrata si può anche sentire una forma di giustizia, che si può esprimere non con la formula 'se l’è cercata', ma con la formula 'se l’è meritata'. Che è anche peggiore. Perché vede qualcosa di accettabile nel rapimento, mentre è esso il crimine.
Ma io credo che noi, parlando della missione che Silvia s’era data, parliamo di qualcosa che non sappiamo. Basta che ascoltiamo le dichiarazioni di quelli che fanno lo stesso lavoro da anni, vivono in quotidiano pericolo e ci restano, portando ragioni che in sostanza parlano di un diverso e superiore senso della vita, percepito come un diverso e superiore senso della propria utilità: chi ha un bisogno 'assoluto' di te, come gli orfani di cui si occupa Silvia, vedono in te un essere 'divino', che gli porta un aiuto che tutto il resto dell’umanità non gli dà.
Non mi schiero col resto dell’umanità, che per centomila ragioni, alcune plausibili, non dà l’aiuto. Sto con chi ha coraggio e per ragioni che lui sente, e che possono essere razionalmente sbagliate o incaute, lo dà. I medici del Cuamm non possono aprire ospedali dappertutto, perciò in certi luoghi semideserti, con villaggi scarsi e distanti fra loro, istituiscono dei centri volanti di raccolta, dove un’auto-ambulanza passa a raccogliere i malati che arrivano, a volte da centinaia di chilometri. È rischioso, ma lo fanno. Sono migliori di noi. I bambini miserabili che vivono con padre e madre hanno zero, ma gli orfani hanno meno di zero. Essere utile a chi ha zero è grande.
Ma essere utile a chi ha meno di zero è immenso. Silvia provava qualcosa che noi non abbiamo mai provato e mai proveremo: l’immensità di darsi a chi ha meno di niente. Poiché lei sapeva e sa questo, a ventitré anni, e anche noi lo sapevamo ma in troppi non lo sappiamo più, non siamo in grado di giudicarla. Questi sequestri possono avvenire per diverse ragioni, anche ideologiche, anche religiose, ma il denaro c’entra sempre. C’entra in coloro che fanno il sequestro e c’entra in coloro che prendono le distanze dal sequestrato: 'Adesso ci toccherà pagare il riscatto'.
Anch’io ho provato questa avversione anni fa, quando una turista italiana, della mia città, fu sequestrata in Yemen. Il nostro Ministero degli Esteri aveva messo lo Yemen nella lista degli Stati da non visitare, se tu ci vai e ti catturano e chiedono un riscatto, lo Stato potrebbe abbandonarti. La voglia di girare il mondo per incamerare ricordi va disciplinata, devi restare nel mondo visitabile. Ma Silvia è un caso diverso. È laureata da poco, e ha già altre esperienze di volontariato in Africa, tra i bambini orfani o poveri. Ha messo numerosi selfie con loro su Facebook. «Amo piangere con gli altri per emozioni forti – scriveva –, sia belle che brutte». 'Cerca le emozioni belle – rispondono i critici –, le brutte lasciale a loro'. Cristianamente, stiamo con lei. E finché non torna stiamo male.