Dalla più terribile guerra della storia è venuta la più forte spinta per la pace nel mondo. Dalla più grave crisi economica dall’ultimo dopoguerra, causata dal Covid-19, verrà invece un rafforzamento dei nazionalismi?
L’8 maggio 1945, settantacinque anni fa, finiva in Occidente la Seconda guerra mondiale. Mai una guerra aveva fatto così tante vittime, almeno cinquanta milioni. Tra questi, coloro che avevano trovato la morte in «infernali campi di sterminio"». Campo come quello di Auschwitz, «questo Golgota del mondo contemporaneo», come ha scritto Giovanni Paolo II: milioni di Ebrei, centinaia di migliaia di zingari e di altri esseri umani, colpevoli solo di appartenere a popoli diversi o di essere etichettati diversi. Proprio dal grande silenzio delle vittime è venuta la spinta più forte a far tacere i nazionalismi. Oggi sono milioni coloro che soffrono per la pandemia, e se la loro voce non sarà ascoltata, il mondo scivolerà in tragedie sempre più gravi.
È molto attuale la lezione che viene dalla fine della grande massacro novecentesco. Ma bisogna liberarla dalla retorica. L’8 maggio 1945 i nazionalismi non erano affatto sconfitti, malgrado l’evidenza della tragedia che avevano provocato. Nel dopoguerra, non c’era un clima di spontanea solidarietà internazionale. Gli italiani, ad esempio, non avevano ripudiato la mentalità fascista e i loro cuori battevano intensamente per questioni di confini. I popoli, anche il nostro popolo, hanno però trovato classi dirigenti, elette democraticamente, che si sono assunte la responsabilità di guidarli: dopo la guerra, sono state le classi dirigenti a progettare e realizzare un mondo di pace e di cooperazione, anche contraddicendo i propri elettori. Ecco la lezione numero uno per l’oggi: populisti e demagoghi sono i più pericolosi nemici dei loro stessi popoli.
Tra i cardini del progetto di pace post-bellico c’erano le organizzazioni internazionali, comprese quelle economiche e monetarie che hanno favorito decenni di crescita stabile. Oggi, queste organizzazioni appaiono più deboli, anche a causa della cosiddetta grande finanza internazionale che vuole mani libere. Dopo lo scoppio della pandemia, molte critiche si sono concentrate in particolare sull’Organizzazione mondiale della sanità. La si accusa di parzialità politica, ma la sua colpa principale è un’altra: è la sua debolezza. Non è sparando sulla Croce rossa che si aiutano i malati. E nemmeno sull’Oms. È invece interesse di tutti che l’Oms sia una voce forte ed autorevole sul piano medico e scientifico che le è proprio. È dovere degli Stati è dunque garantirne l’indipendenza e rilanciarne il ruolo. Lezione numero due: i nazionalismi indeboliscono i popoli, privandoli di istituzioni internazionali in grado di proteggerli, specie nei momenti di grave difficoltà.
Dalla terribile esperienza della guerra è venuta anche una grande spinta per l’unità europea. Il 9 maggio 1950, settant’anni fa, Schumann ne segnò l’inizio affermando: «L’Europa non si farà in un colpo solo, né attraverso una costruzione d’insieme; essa si farà attraverso realizzazioni concrete, creanti anzitutto una solidarietà di fatto». Oggi siamo di fronte a un bivio. Negli ultimi anni le forze nazional-sovraniste si sono accanite contro l’Unione Europea, ma la pandemia ha fatto invocare l’aiuto dell’Europa e lamentarne la scarsa solidarietà. In realtà, negli ultimi tempi le istituzioni europee non hanno fatto poco, fin quasi a forzare i limiti concessi alla loro azione, come hanno fatto indirettamente capire i giudici costituzionali tedeschi. Eppure nessuno, o quasi, è intervenuto vigorosamente in difesa dell’Unione Europea.
C’è una vistosa contraddizione: non si può – come si è fatto anche in Italia – alzare la voce per pretendere solidarietà dall’Europa e non fare nulla per metterla in grado di intervenire efficacemente. Lezione numero tre: bisogna rafforzare le istituzioni comunitarie, non rivendicando più sovranità, ma condividendo più quote di sovranità. Infine, dopo la Seconda guerra mondiale, un ruolo importante è stato svolto dalle Chiese. Sono state queste ad ascoltare più di tutti il grido delle vittime e a educare i loro fedeli, ancora attratti dall’idolatria del nazionalismo. Anche oggi c’è bisogno delle Chiese. La voce di papa Francesco, pastore universale, si è levata, forte e compassionevole. Ma anche le Chiese e i singoli credenti devono parlare con forza. Lezione numero quattro: quanti prendono le distanze da papa Francesco indeboliscono una delle poche voci autorevoli a sostegno della collaborazione internazionale contro le ingiustizie e, oggi, contro il Covid- 19 e le sue conseguenze.