martedì 27 aprile 2021
Così il vescovo eletto di Rumbek (Sud Sudan) in un’intervista al Tg2000 in collegamento dal letto d’ospedale a Nairobi in Kenya racconta il suo stato di salute dopo il grave attentato subito
Il vescovo Carlassare: "Tornerò a camminare. E riprenderò la mia missione"

“Io sto prendendo forza di giorno in giorno e tutto andrà per il meglio. Tornerò a camminare e continuerò il mio servizio missionario come prima”. Così il vescovo eletto di Rumbek (Sud Sudan), mons. Christian Carlassare, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, in collegamento dal letto d’ospedale a Nairobi in Kenya racconta il suo stato di salute in seguito al grave attentato avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 aprile.

“Sono in un letto d’ospedale – ha aggiunto mons. Carlassare - dove i medici si stanno prendendo cura di me. Hanno visitato le mie gambe colpite da alcuni proiettili e hanno ripulito le ferite”.

“Subito dopo l’attentato – ha proseguito mons. Carlassare a Tv2000 - quando sono stato portato all’ospedale di Rumbek e ho avuto la prima operazione molta gente è venuta a farmi visita. Ho visto donne, giovani, persone di governo. Tante persone che si sentivano di mostrarmi la loro solidarietà. Io ero a letto sofferente per i quattro proiettili che erano nelle mie gambe ma ho visto che la sofferenza della gente era molto più forte della mia. Se io avevo una speranza forte di guarire, loro avevano paura che li lasciassi o di avermi in qualche modo deluso”.

“Per questo ho pensato – ha concluso monsignor Carlassare a Tv2000 - che il messaggio del perdono è l’unico che in questa situazione può portare a una vera giustizia. Si cerca sempre la giustizia ma ci si dimentica sempre della misericordia. In questo momento speriamo che emerga la verità affinché questi avvenimenti non accadano mai più. Sappiamo che dal perdono può nascere una trasformazione”.

Intanto l'inchiesta procede. Almeno 12 persone sarebbero state fermate e tra queste anche "tre membri del clero" locale, oltre a "importanti personalità laiche della diocesi". Manca però l'ufficialità. Uno degli aggressori avrebbe perso il telefono cellulare durante l'agguato e da lì gli inquirenti sarebbero risaliti ad altre persone collegate all'accaduto. Già subito dopo l'agguato era stato individuato come movente il rifiuto da parte di alcuni membri dell'etnica dinka di un nuovo vescovo venuto da un'altra diocesi per rimpiazzare il coordinatore diocesano che invece è autoctono e che ha diretto la diocesi per 9 anni.

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