I due leader dell'opposizione in Venezuela, Leopoldo Lopez e Antonio Ledezma, sono stati arrestati dai servizi di intelligence (Sebin). Non c'è certezza sul luogo in cui sono stati condotti. Lo denunciano su Twitter la moglie di Lopez e attivisti dell'opposizione. La moglie di Lopez, Lilian Tintori, ha scritto su Twitter che gli agenti «hanno portato via Leopoldo da casa»: «Non sappiamo dove si trovi. Maduro è responsabile se succede qualcosa», ha aggiunto.
In carcere dal 2014 per istigazione alla violenza di piazza e altre accuse, dall'8 luglio Lopez si trovava agli arresti domiciliari. I suoi avvocati hanno denunciato che è stato torturato in varie occasioni.
Alcuni rappresentanti della coalizione di opposizione Mud hanno diffuso su Twitter un video che mostra come Antonio Ledezma sia stato prelevato in pigiama dalla sua residenza, dove si trova ai domiciliari dal 2015, da agenti del Sebin che lo hanno portato via su un furgone. IL VIDEO E L'APPELLO DELLA FIGLIA:
Ledezma era stato arrestato a febbraio del 2015 con l'accusa di cospirazione e associazione a delinquere. Dopo due mesi in un carcere militare di Ramo Verde ha ricevuto una «misura cautelare sostitutiva di libertà» e per motivi di salute gli sono stati concessi gli arresti domiciliari. Quasi due anni e mezzo dopo l'arresto Ledesma non è stato condannato.
DOMANDE E RISPOSTE Cosa sta succedendo in Venezuela? di Lucia Capuzzi
Gentiloni: impegnati contro il rischio dittatura
«Arresto dei leader opposizione inaccettabile. Italia impegnata contro rischiodittatura e guerra civile». Lo scrive su Twitter il premier Paolo Gentiloni sulla situazione in Venezuela.
È finito nel sangue il voto sulla Costituente voluto da Maduro
Sono almeno 15 le vittime delle violenze esplose domenica in Venezuela durante le elezioni per l'Assemblea Costituente. Lo riferisce il leader dell'opposizione Henrique Capriles, mentre il procuratore di Stato ha dichiarato che sono 8 i morti confermati.
Capriles ha parlato di un «giorno nero» e ha accusato il presidente Nicolas Maduro per quella che definisce una «ambiziosa malattia». «Scene di tumulti» sono state riportate da diverse città in tutto il paese. Almeno 7 guardie nazionali sono state ferite in un attacco nella capitale Caracas.
«Affluenza al 41,5%», Maduro esulta. Opposizione: dati falsi
La Commissione nazionale elettorale ha annunciato che hanno partecipato al voto per l'elezione dell'Assemblea nazionale Costituente oltre 8 milioni di persone, ovvero il 41,5% degli aventi diritto. Ma l'opposizione, che ha boicottato il voto, sostiene che i dati sono contraffatti e che solo il 12% dell'elettorato, poco più di 2 milioni di persone, si sono recati alle urne. Il presidente Maduro, che ha fortemente voluto l'Assemblea Costituente che dovrà cambiare la Costituzione, esulta e definisce quello di ieri il «voto più importante mai tenutosi nei 18 anni di storia della rivoluzione».
COSA STA SUCCEDENDO IN VENEZUELA E PERCHÉ Il drammatico bivio dell'altra America di Lucia Capuzzi
Gli Usa condannano il voto
Gli Stati Uniti hanno duramente condannato il voto per la creazione di una Assemblea costituente in Venezuela, prospettando «forti e veloci azioni» contro il governo del presidente Maduro. «Gli Usa condannano l'elezione imposta il 30 luglio per l'Assemblea Costituente Nazionale, concepita per rimpiazzare l'Assemblea Nazionale legittimamente eletta e per minare il diritto del popolo venezuelano all'autodeterminazione», ha fatto sapere la portavoce del Dipartimento di Stato americano, Heather Nauert.
Maduro replica: Trump non faccia l'imperatore
Il presidente Maduro contesta le «pretese insolenti del governo dell'imperatore Donald Trump di dettare norme, ordini e direttive al popolo del Venezuela». «Al Venezuela non si danno ordini né lo si comanda da fuori» ha detto Maduro, sottolineando che il suo paese si distingue da altri governi «subordinati» a Washington che si trovano nella regione, e ha menzionato Colombia, Messico e Perù. «Che ci importa di quello che dice Trump. Ci importa di quello che dice il popolo sovrano del Venezuela», ha esclamato nel discorso pronunciato in Plaza Bolívar, a Caracas, dopo il voto.