La Uss Theodore Roosevelt - Reuters
Per Pechino è stato uno schiaffo. Di più, una provocazione. Navi da guerra americane sono entrate martedì nel Mar Cinese meridionale, dopo essere transitate sabato attraverso il Canale di Bashi fra Taiwan e le Filippine. Con l’obiettivo, neanche troppo velato, di sventolare, proprio sotto il naso dei padroni di casa, un concetto come quello “di libertà dei mari” che per Pechino equivale a un affronto. “Un dispiegamento programmato verso la Settima flotta Usa per assicurare la libertà dei mari”, ha spiegato il Comando delle forze Usa per l’Indo-Pacifico. La portaerei si è mossa per condurre “operazioni di sicurezza marittima, che includono missioni di volo, esercitazioni navali e addestramento coordinato tra unità di superficie e unità aeree”. Più esplicito e urticante (per i cinesi) è stato Doug Verissimo, comandante del gruppo d’attacco Usa: "Con i due terzi del commercio mondiale che attraversano questa regione, è fondamentale mantenere la nostra presenza e continuare a promuovere l'ordine basato sulle regole che hanno permesso a tutti noi di prosperare".
Un biglietto da visita con il quale l’Amministrazione del nuovo presidente a stelle e strisce Joe Biden lancia un messaggio tutt'altro che pacificante al rivale asiatico: ci siamo, non abbiamo intenzione di arretrare, né lasciare il campo (il mare) libero alla Cina. Pechino ha risposto immediatamente. Mentre la Uss Theodore Roosevelt entrava nelle acque cinesi, il Dragone inviava 13 aerei da guerra all'estremità meridionale dello stretto di Taiwan, una flotta che comprendeva un aereo da trasporto Y-8, otto bombardieri H-6K e quattro jet da combattimento J-16. Non solo, è già pronta un’altra esercitazione. Come ha riferito la Reuters, “un avviso emesso dalla Maritime Safety Administration cinese ha vietato l'ingresso in una porzione di acque nel Golfo del Tonchino a ovest della penisola di Leizhou, nel sud-ovest della Cina dal 27 gennaio al 30 gennaio, ma non ha fornito ulteriori dettagli”. Una contro-prova di forza, accompagnata dagli strali di Pechino all'indirizzo degli Stati Uniti, accusati di voler "flettere i muscoli", come ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian. "Questo non porta alla pace e alla stabilità nella regione", ha aggiunto il portavoce. L'incursione americana è avvenuta in contemporanea all'ingresso nell'area di identificazione aerea di Difesa di Taiwan di aerei militari cinesi. Il Dipartimento di Stato Usa ha sollecitato Pechino a interrompere le pressioni su Taiwan, confermando che il sostegno a Taiwan è "solido come una roccia". Pechino ha risposto definendo Taiwan "parte inalienabile" del territorio cinese e invitando gli Stati Uniti a non inviare "segnali sbagliati" alle forze pro-indipendenza dell'isola.
Come scrive il South China Morning Post, un EP-3E della US Navy e un Y-8G cinese, entrambi aerei dell'intelligence elettronica, si sono sfiorati mentre viaggiavano verso Taiwan. "Quello che vediamo qui sono atteggiamenti e contro-atteggiamenti mentre Pechino, in particolare, cerca di sondare e testare l'amministrazione Biden e valutare i limiti a cui può arrivare con quei punti di infiammabilità regionali", ha detto il ricercatore Collin Koh. “Il problema è il rischio di incidenti involontari che coinvolgano le forze rivali. Il rischio di una schermaglia derivante da tali interazioni tattiche è considerevole”, ha aggiunto. Un rischio altissimo. E nulla lascia presagire che diminuirà.