A Kiev piazza Maidan al buio - Gambassi
«Ce l’ho fatta». Tira un sospiro di sollievo Olena quando finalmente riesce a raggiungere il pianerottolo di casa. Ha 81 anni e si è fatta otto piani a piedi con i sacchetti della spesa. Abita in un casermone di stampo sovietico nel quartiere Troieshchyna, 250mila persone sulla riva destra del fiume Dnepr che divide in due Kiev. L’ascensore c’è. Però a mezzogiorno rimane immobile. Non perché sia guasto. Ma perché nella via è stata tolta l’energia elettrica. «Ormai siamo abituati. Può mancare due ore al mattino, quattro ore al pomeriggio, tre ore di sera. L’altro giorno è tornata a mezzanotte. Comunque qui siamo fortunati: abbiamo l’ospedale vicino e i tagli non sono così frequenti come in altre aree».
Vive a intermittenza Kiev. Con la corrente che va e viene. E poi al buio, quando cala il sole. I missili di Putin colpiscono ogni giorno qualche snodo energetico in tutto il Paese. E la capitale dell’Ucraina si spegne. Di notte e di giorno. «Razionamento energetico» è la parola d’ordine. E la risposta all’ultima strategia russa: distruggere le infrastrutture elettriche per mettere in ginocchio una nazione. A cominciare dalla principale metropoli che, con la sua regione, supera i quattro milioni di abitanti. «Meglio al buio che sotto Mosca», urla il dirimpettaio della signora Olena. È il nuovo mantra della città.
Sui telefonini rimbalzano le immagini di fiamme alte fino a dieci metri in una stazione elettrica dell’hinterland su cui è piombato un “drone kamikaze”. Un raid che ha rischiato di far collassare l’intera rete. Manca il 30% di energia elettrica a Kiev e nell’oblast. Mai successo in un Paese abituato a produrre un surplus di elettricità che veniva venduto anche all’Europa. Adesso, per la prima volta nella sua storia recente, acquisterà corrente dalla Slovacchia. Ma nella capitale farà fatica ad arrivare. Ed ecco l’annuncio di «restrizioni d’emergenza senza precedenti», avverte la compagnia statale Ukrenergo. Ne fanno già le spese tram e filobus: tutti nei depositi e sostituiti con i pullman diesel. Naftogaz, la società nazionale di petrolio e gas, ha ordinato invece al gruppo di distribuzione del gas Kyivboblgaz di interrompere da oggi la fornitura di gas al Trypil Tpp, il più grande produttore di elettricità e di energia termica nella regione di Kiev.
A Kiev un angolo di piazza Maidan al buio - Gambassi
Oksana però ha già preso le misure. È la responsabile di un sito di commercio elettronico. «Ieri al mattino ho lavorato da casa - racconta -. Poi di pomeriggio, quando nella zona è scattato il blackout, mi sono trasferita da mia madre perché almeno lì la corrente c’era». Le autorità locali raccomandano la «moderazione» energetica: poche lavatrici, scaldabagni staccati, stufe elettriche vietate. Disagi sopportabili ora che le temperature rimangono accettabili. «Ma resisteremo anche al gelo dell’inverno. E come Chiesa saremo accanto a chi avrà più difficoltà», annuncia don Oleg, impegnato nella Curia della diocesi di Kiev-Zytomyr. La corsa ai generatori a benzina coinvolge tutti. Anche le ambasciate. «Impossibile comprarne in questi giorni. Sono esauriti. E serve andare in Polonia a trovarne qualcuno», fa sapere il nunzio apostolico, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas.
Certo, è la sera che il volto stravolto di Kiev si mostra in tutta la sua cupezza ma anche con una sorprendente tranquillità. Era la “ville lumiere” dell’Ucraina, forse più statunitense che francese, con i grattacieli sempre accesi o i megaschermi sulle facciate dei grandi magazzini. Ora è una città nella penombra. Spenti i palazzi pubblici, gran parte delle insegne e soprattutto i lampioni. A rischiarare i marciapiedi e l’asfalto sono i fari delle auto o l’illuminazione delle vetrine che, quando l’occhio di chi cammina si abitua all’oscurità, diventano come flash. Resta, però, immutato il cliché della passeggiata della sera in centro. Anche come segno di resilienza. «Certo, è facile cadere in un gradino», scherza Andryi, studente universitario che siede con gli amici in una piazza Maidan dai tratti crepuscolari. Sarà anche per questo che viene diffuso il decalogo per «salvarsi dal buio»: agli automobilisti si chiede prudenza negli incroci dove i semafori sono disattivati; ai ciclisti di indossare giubbetti catarifrangenti; ai genitori di mettere sui passeggini un fanalino.
Le strade di Kiev con i lampioni spenti sono illuminate dai fari delle auto - Gambassi
Non esiste Kiev quando si giunge in treno dopo le 20. È come risucchiata da un buco nero, rotto soltanto da qualche bagliore che esca dalle finestre dei pochi condomini ancora collegati. Luci soffuse alla stazione centrale di fronte a cui si trovano la “101 tower” sventrata da un missile e la palazzina devastata da un drone che ha ucciso tre persone. «Il nemico voleva distruggere gli uffici della società elettrica che sono lì vicino», dice Pavel che vive a cento metri dai due bersagli. Entrambi colpiti nei lunedì di ottobre, ossia da quando il Cremlino è tornato a scagliarsi contro il cuore della città. E ora la gente teme i «lunedì del terrore», come sono stati ribattezzati. «Ogni volta che la settimana riprende e al mattino si va al lavoro, il nemico ha mandato i droni - sostiene Pavel -. Accadrà ancora: ne siamo tutti sicuri».