Il carcere di Evin visto dall'alto - Ansa
Il carcere di Evin, situato a nord di Teheran, dove si trova in cella di isolamento la giornalista Cecilia Sala, è uno dei simboli più noti della repressione politica in Iran. Costruito nel 1972 durante il regime dello Shah Mohammad Reza Pahlavi, fu concepito inizialmente come struttura per la detenzione di prigionieri politici. Dopo la Rivoluzione Islamica del 1979, Evin è diventato il principale centro di incarcerazione per dissidenti, giornalisti, attivisti e membri di minoranze etniche e religiose.
Secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani la prigione, che si stima ospiti circa 15mila detenuti, è caratterizzata da condizioni di sovraffollamento e carenze igienico-sanitarie. Molte ong, tra cui Amnesty International, hanno denunciato l'uso sistematico della tortura, esecuzioni sommarie e il mancato accesso a cure mediche per i prigionieri. Le testimonianze parlano di celle sovraffollate, aree di isolamento e un controllo ferreo da parte delle autorità.
Evin ha acquisito notorietà internazionale anche per la detenzione di cittadini con doppia cittadinanza, spesso accusati di spionaggio, e per il trattamento riservato a figure di rilievo come avvocati, attivisti per i diritti delle donne e intellettuali. La struttura è stata soprannominata “Evin University” per l'alto numero di studenti e accademici incarcerati. Tra gli eventi più tragici legati a Evin vi è il massacro del 1988, quando migliaia di prigionieri politici furono giustiziati sommariamente. Più recentemente, nel 2022, un incendio all'interno della prigione, scoppiato durante le proteste antigovernative, ha causato diverse vittime (almeno 8 ma il numero resta incerto) e decine di feriti, portando nuovamente Evin sotto i riflettori internazionali. Sempre nel 2022, vi è stata incarcerata per 45 giorni la blogger italiana Alessia Piperno.