Il presidente dell'Ucraina, Volodymyr Zelensky - Ansa
Si è presentato lungo il fronte più caldo della regione di Kharkiv, quello assediato dall’esercito di Mosca che avanzare ancora e strappa nuovi villaggi all’Ucraina lungo il confine russo. Ha incontrato i soldati che difendono la seconda città del Paese. Ha stretto mani. Ha firmato le bandiere dei battaglioni. E ha consegnato trecento droni. Il sindaco di Kiev, Vitaliy Klitschko, ha visitato i militari in prima linea: la scorsa settimana quelli nell’oblast su cui il Cremlino ha lanciato la sua ultima offensiva; a fine aprile quelli impegnati nel Donbass; nei giorni precedenti le brigate di Kherson, la città divisa e occupata a metà. Come fa il presidente dell’Ucraina. La poltrona a cui ambisce Klitschko e che per Volodymyr Zelensky è sempre più in bilico.
Il sindaco di Kiev, Vitaliy Klitschko, con i militari - Telegram
Lunedì è scaduto il mandato di cinque anni dell’attuale inquilino del palazzo presidenziale. Ma, al di là della propaganda russa che per bocca dell’ex presidente Dmitry Medvedev lo definisce «usurpatore» alla guida dello Stato “nemico” e quindi un «obiettivo militare legittimo» per il Cremlino, resta al suo posto. La legge marziale, in vigore dall’inizio dell’invasione, vieta le elezioni durante la guerra. Parlamentari, a dire il vero. Non presidenziali. Ma sia i giuristi, sia l’opinione pubblica ucraina sono concordi nel rinvio del voto deciso da Zelensky. Uno stop che non ha avuto l’avvallo della Corte Costituzionale ma che viene giustificato e condiviso per più motivi: la difficoltà di garantire la sicurezza degli elettori; l’impossibilità di aprire i seggi nei territori occupati, un quarto del Paese; la necessità di far votare i militari o i profughi all’estero; il costo delle operazioni elettorali che sottrarrebbero fondi preziosi alla difesa.
Il presidente Volodymyr Zelensky con i militari nella regione di Kharkiv - Ansa
Eppure, nonostante il 69% degli ucraini ritenga che Zelensky debba restare in carica fino alla revoca della legge marziale, le grandi manovre per la successione sono cominciare. Soprattutto fra chi è persuaso che non sarà lui a chiudere la guerra e a sedersi al tavolo delle trattative. È un’opinione sempre più diffusa nelle cancellerie occidentali. Ma è anche una prospettiva che prende campo all’interno dell’Ucraina. I segnali di nuove avanzate russe, i disagi sui campi di battaglia, gli scarsi esiti della controffensiva lanciata lo scorso anno, il numero crescente di morti al fronte, l’assenza di una prospettiva reale di riconquistare le regioni occupate, la corruzione che dilaga, il giro di vite sull’arruolamento obbligatorio che la nazione non ha gradito hanno spento l’entusiasmo verso il “presidentissimo” che nell’immaginario collettivo resta comunque un eroe: perché non è fuggito e soprattutto perché ha evitato la capitolazione dello Stato. Ma l’orologio della storia lascia presagire che il suo tempo stia scadendo. E lui ne è consapevole. Più volte ha fatto “pulizia” dei suoi principali collaboratori. L’entourage che lo circonda lo descrive come preoccupato.
Il sindaco di Kiev, Vitaliy Klitschko, dopo un bombardamento nella capitale - Ansa
Il sindaco di Kiev, suo rivale di lunga data, lo ha già criticato esplicitamente. «Le persone vedono chi è efficace e chi no. Le aspettative erano e sono tante. Zelensky pagherà per gli errori commessi», ha detto Klitschko denunciando la «deriva autoritaria» dell’avversario. Ma non ha svelato nulla sulle sue ambizioni presidenziali: «Sarebbe sciocco pensarci oggi. Stiamo combattendo per la libertà e l’indipendenza. Tuttavia i nostri politici conducono una guerra di trincea in un Paese la cui stessa esistenza è traballante». Però le sue ultime mosse servono a mostrarlo come un successore “affidabile” di Zelensky. E soprattutto con una visione nuova.
L’ex presidente Petro Poroshenko - Ansa
Chi, invece, ha sciolto la riserva è l’ex presidente Petro Poroshenko che ha già annunciato di volersi candidare alle prossime elezioni. Elezioni che, ha aggiunto sposando la linea dello slittamento, devono tenersi al termine delle ostilità. Una personalità già finito nel mirino di Zelensky che, attraverso i servizi segreti, lo aveva fatto fermare alla frontiera impedendogli di entrare in Europa.
L’ex capo delle forze armate ucraine, Valery Zaluzhny - Ansa
Poi c’è l’ex capo delle forze armate Valery Zaluzhny, sostituto a febbraio dal presidente dopo le critiche alla gestione della guerra finita «in un vicolo cielo». Spedito in esilio in Gran Bretagna come ambasciatore, il generale gode di una popolarità stimata intorno all’80% e, stando a un sondaggio, incasserebbe al primo turno delle presidenziali il 41% dei consensi contro il 23,7% di Zelensky. Ma, secondo fonti diplomatiche, non sarebbe l’uomo giusto in caso di negoziati per il suo passato militare e l’approccio troppo risoluto. «Vincerei le elezioni se si tenessero», ha già assicurato Zelensky. Però l’intelligence russa sostiene che il suo gradimento non supera il 20% fra le forze armate e due terzi della popolazione non crede più ai resoconti bellici che escono dai vertici dello Stato.