Al passaggio delle consegne al Megaro Maximou il premier uscente Antonis Samaras non c’era. Uno sgarbo al protocollo e al vincitore. Ma uno strappo ben più vistoso lo ha consumato anche Alexis Tsipras: al giuramento (senza cravatta) nelle mani del capo dello Stato Karolos Papoulias ha platealmente evitato di posare le mani sulla Bibbia, limitandosi (è la prima volta nella storia greca) a un proponimento di tipo politico. Nello stesso momento Standard & Poor’s lasciava trapelare la possibilità di un ennesimo declassamento del debito sovrano greco. Ma il neo-premier non era già più lì. Il suo primo atto di governo è stato quello di deporre una corona di fiori al monumento che ricorda i caduti della Resistenza durante la Seconda guerra mondiale nel quartiere popolare di Kaisarianni. Poco dopo un corteo di nubi nere si stendeva su Atene cancellando l’azzurro del mattino e preannunciando un nubifragio. Poteva accadere ed è accaduto di tutto in una giornata come questa, il day after del trionfo elettorale di Syriza e del suo leader, il giorno della nascita di quella “strana coppia” formata da Tsipras e dai Greci Indipendenti di Panos Kammenos: come dire il diavolo e l’acquasanta, la sinistra radicale che si allea con una destra conservatrice e xenofoba in nome del comune rifiuto del Memorandum, della troika, dell’austerity, della macelleria sociale che per quattro anni ha sfigurato la società dell’Ellade portando povertà e disoccupazione ai massimi livelli senza riuscire a tagliare il debito greco. La strana alleanza in realtà viene da lontano. Spregiudicato e cinico quanto basta, Tsipras doveva assolutamente tappare il buco di una maggioranza assoluta mancata per un soffio, 149 seggi al posto di 151, una volata trionfale sciupata da un inciampo all’ultimo miglio. E allora, visto che il centro di To Potami era disponibile ma non ad andare contro il Memorandum, ecco farsi luce Anel (acronimo di Greci Indipendenti) con i suoi 13 deputati, partitello di fuoriusciti nel 2012 da Nea Dimokratia, pronto e disponibile già molto prima delle elezioni politiche, con il suo leader Kammenos, cinquantenne, già ministro della Marina Mercantile con Karamanlis, fervido credente e contrario all’immigrazione, al multiculturalismo e favorevole alla messa al bando dei senzatetto che occupano case disabitate. Alexis e Panos dovranno vedersela con Bruxelles, con le banche, con i creditori, con la Germania infiammata dal timore che l’Europa
à la carte gli si ritorca contro, con la popolare
Bild che già suona la marcia funebre ai tedeschi titolando: «Dove finiranno i nostri soldi?». La giornata era cominciata con dei sorrisi. Se ne coglieva qualcuno qua e là, fra Plaka e Kolonaki, sui treni per il Pireo, alle falde del Licabetto. Si sorrideva non solo per il trionfo elettorale (un terzo dell’elettorato non ha votato e un altro terzo ha perduto le elezioni), ma forse – come fanno gli anziani del parco dello Zappeion gettando compulsivi i loro dadi sulla tavola del backgammon – per il segreto piacere di indovinare cosa il futuro ora nelle mani di Tsipras riserverà alla Grecia, cuore di una civiltà dove il
problema (da
probàllo', cioè “gettare avanti”) è il nocciolo di ogni divenire. Senza nascondersi che oggi quel futuro appare opaco e miseramente vestito: «Nessuno – dice Aristides, il libraio- filosofo che non ha mai sbagliato una previsione elettorale – si illude che ci sarà un drastico cambiamento a breve. Tsipras ci proverà, rinegozierà, i tedeschi e la troika gli lasceranno un po’ di briglia, il debito si allenterà un poco, ma solo un poco, poi le maglie si stringeranno di nuovo. Nemmeno Syriza farà miracoli». È vero. Le cifre uscite dall’urna ci offrono l’identikit di una nazione divisa. Trionfa Syriza con il 36,34% e i suoi 149 seggi e dietro arranca Nea Demokratia, con il 27,81% e 76 deputati. Tsipras ha sedotto i giovani, i disoccupati e il pubblico impiego e perduto soltanto con gli ultrasessantenni. Samaras ha fatto il contrario, tenendosi il ceto medio-alto e gli anziani. Ma il terzo partito, e questo un po’ lo si subodorava, è ancora quello dei neonazisti di Alba Dorata, xenofofobi, razzisti, violenti, con metà dei dirigenti in prigione insieme al loro leader Mikhaloliakos, eppure forti nelle banlieue e anche nei quartieri eleganti di Atene, voce eloquente di una società impaurita: hanno preso il 6,3%. I centristi di To Potami hanno avuto una dignitosa affermazione, il Pasok e i comunisti del Kke sopravvivono al ciclone Syriza, mentre il piccolo partito scissionista di Papandreou non ha superato la soglia di sbarramento. Forte è stata anche l’astensione: dei 9.902.915 aventi diritto solo 6.324.963 si sono recati alle urne, portando l’area del nonvoto al 36,14%. «I greci – ha subito detto Tsipras commentando la vittoria – hanno mostrato la strada del cambiamento all’Europa. Ora occorre costruire una nuova Europa basata sulla solidarietà. La troika appartiene al passato. Il voto contro l’austerità è stato forte e chiaro». Ma il tempo delle parole è già finito. «Non rumoreggiate contro di me, uomini ateniesi!», fa dire Platone a Socrate nell’Apologia. Per ora è silenzio, attorno a Alexis Tsipras. Una timida cambiale in bianco. In attesa di una svolta. E prima che cominci, fatale, la prevedibile disillusione.