giovedì 4 gennaio 2024
I democratici della Commissione di vigilanza hanno pubblicato un dossier, dal titolo "Casa Bianca in vendita" dal quale emergono fondi per 7,8 milioni da governi stranieri
L'ex presidente statunitense Donald Trump

L'ex presidente statunitense Donald Trump - Reuters

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L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, candidato repubblicano alle elezioni di novembre, avrebbe ricevuto durante la sua permanenza alla Casa Bianca, tra il 2017 e il 2021, almeno 7,8 milioni di dollari da una ventina di governi stranieri. Lo ha rivelato ieri il New York Times sottolineando un dettaglio non secondario: la maggior parte dei pagamenti, 5,5 milioni di dollari, avrebbe come mittente la Cina di Xi Jinping considerata il principale rivale del Paese. La fonte del quotidiano liberal è un rapporto di 156 pagine, intitolato “White House For Sale” (Casa Bianca in vendita), diffuso dai democratici della Commissione di vigilanza del Congresso. Un dossier messo a punto come risposta politica all’indagine di impeachment avviata dai repubblicani contro l’attuale presidente, il democratico Joe Biden, accusato di presunte complicità negli opachi affari esteri del figlio Hunter.

Gli attacchi incendiari lanciati da Washington a Pechino quando il tycoon era alla Casa Bianca hanno fatto la storia. Soprattutto durante gli anni, 2018 e 2019, della guerra commerciale che, combatta a suon di tariffe, fu bollato dagli esperti come una vera e propria “Guerra fredda”. La Cina continua ad essere ancora oggi nel mirino del magnate. La scorsa primavera, quando già preparava il terreno della sua nuova campagna elettorale, assicurò che, se eletto ancora una volta presidente, avrebbe azzerato tutte le importazioni dal Paese del Dragone in neppure quattro anni. Promesse su cui la soffiata di ieri prova a gettare un velo di incoerenza. Trump, questa è la ricostruzione del rapporto, avrebbe incassato le sovvenzioni straniere per mezzo di alcune delle sue società private. Quelle riconducili a Xi Jinping sarebbero avvenute attraverso l’ambasciata di Pechino a Washington, la banca commerciale e industriale cinese e la Hainan Airlines Holding Company. Transazioni che secondo Eric Trump, figlio dell’ex presidente, non hanno nulla a che fare con il ruolo istituzionale del padre perché sarebbero avvenute nell’ambito di legittimi affari. «Nessun presidente – ha evidenziato – è mai stato più duro di Donald Trump con la Cina». Tra i governi stranieri citati nel dossier c’è anche l’Arabia Saudita che avrebbe versato alla immobiliare Trump World Tower e al Trump International Hotel circa 615mila dollari. Cifra che, per grandezza, è seconda solo a quella di matrice cinese. Si citano anche Congo, Malaysia, Albania, Kosovo, Qatar e Kuwait. Il filone delle indagini sull’influenza dei Paesi esteri nella presidenza Trump e, ancora prima, nella campagna elettorale che lo portò al vertice degli Stati Uniti, non è nuovo. Ma piomba come un nuovo macigno a complicare la sua già difficile seconda corsa verso la Casa Bianca.

Sono quattro i processi penali in corso a suo carico sul ruolo avuto nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 e nella tentata sovversione dell’esito del voto che, a novembre 2020, portò Biden alla vittoria. Gli Stati di Maine e Colorado lo hanno bandito da ogni ruolo pubblico ai sensi del 14esimo emendamento della Costituzione americana che allontana dalla politica chiunque sia coinvolto in atti di insurrezione. Decisione contro cui i suoi legali hanno presentato ricorso e il pronunciamento dei giudici è atteso a giorni. Il nome di Trump, come se non bastasse, è finito anche nella lista dei potenti, come Bill Clinton, Michael Jackson e il principe Andrea d’Inghilterra, che avrebbero fatto parte del giro di prostituzione minorile messo su dal pedofilo Jeffrey Epstein morto suicida in carcere nel 2019.

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