A Las Vegas, nel Nevada, un gruppo di senzatetto è stato fatto sistemare in un grande parcheggio per far rispettare le misure di sicurezza stabilite dal governo per l’epidemia di coronavirus - Ansa
New York Il mondo, dove ieri i casi di Covid–19 si sono avvicinati al milione, con quasi 50mila vittime, deve prepararsi alla sua crisi più difficile dalla Seconda Guerra mondiale. Gli americani, secondo Donald Trump, a vivere due settimane «molto, molto, molto dolorose». Le aziende Usa a una recessione molto più lunga e difficile di quella del 2008. È una serie di previsioni nere quella emersa ieri dagli Stati Uniti, dove sembra che il governo solo negli ultimi due giorni abbia cominciato a comunicare con trasparenza la portata della sfida che il Paese si trova ad affrontare, con un ritardo che costerà caro in termini di vite umane. Gli studi dell’Amministrazione Usa prevedono infatti che, se tutte le misure di isolamento sono rispettate alla lettera, di qui ad agosto nei 50 Stati moriranno fino a 240mila persone.
Il prezzo sociale ed economico delle chiusure di migliaia di negozi, fabbriche e aziende e del traffico aereo sarà alto e lungo da assorbire mentre disoccupazione, isolamento ed incertezza provocheranno instabilità sociale, a livello nazionale e planetario. «Questa malattia rappresenta una minaccia per tutti e porterà una recessione senza pari nel recente passato – ha riassunto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres –. La combinazione di questi due fattori e il rischio che contribuisca a una maggiore instabilità, a un aumento del malcontento e a un maggior conflitto ci fanno ritenere che questa sia la crisi più difficile dalla Seconda Guerra mondiale». Gli Stati Uniti potrebbero rivelarsi una delle regioni più colpite, secondo le nuove previsioni. Se ieri il vicepresidente Usa Mike Pence ha infatti preso la diffusione del coronavirus in Italia come esempio di quello che avverrà negli Usa (è il paragone più vicino in termini di proiezioni»), molti esperti sostengono che i casi si moltiplicano ancora più velocemente. Ieri negli Usa le infezioni sono salite a 210mila e le morti a 4.500, raddoppiando in poco più di 48 ore. E la situazione è sempre più disperata a New York, dove i decessi hanno sfiorato i 2mila. A rendere il calcolo dei futuri casi meno attendibile all’inizio della crisi sarebbe stata l’inaffidabilità dei dati resi noti dalla Cina, che ora i servizi segreti Usa hanno dichiarato completamente «falsi» e «intenzionalmente incompleti». La difficoltà di contenere la diffusione del Covid– 19, nonostante tre quarti degli americani siano confinati a casa, ha spinto l’agenzia federale per il controllo delle malattie, il Cdc, a rivedere le proprie linee guida sull’uso delle mascherine, per valutare un utilizzo da parte di tutti i cittadini Usa e non solo di quelli sintomatici. Da parte sua Donald Trump ha suggerito ai suoi concittadini di proteggersi «con una sciarpa».
Ma ci sono categorie di americani che si trovano ancora più impreparati di chi non ha una maschera di fronte all’emergenza. Fra questi i detenuti delle carceri, dove il gel a base di alcol è proibito e dove mantenere distanze di sicurezza è impossibile. In America ci sono più persone dietro le sbarre che in qualsiasi altra nazione al mondo e già centinaia di diagnosi di Covid–19 sono state confermate presso le strutture penitenziarie locali, statali e federali (e quasi certamente il numero è in difetto, data la mancanza di test e la rapida diffusione del virus) portando a scioperi della fame e richieste di maggiore protezione o di una scarcerazione di massa. L’associazione per i diritti civili America Civil Liberties Union ha lanciato un appello alle autorità chiedendo di assicurare migliori condizioni di igiene, anche alla luce di oltre diecimila detenuti anziani e in salute malferma, o di rilasciare i condannati che non si sono macchiati di crimini violenti. Molti Stati hanno già cominciato le operazioni di rilascio, ma, a quanto pare, non abbastanza alla svelta. Le prigioni federali Usa hanno reagito in modo opposto, ordinando invece di chiudere i detenuti nelle loro celle per due settimane. Ma le autorità carcerarie riconoscono che liberare migliaia di persone alla volta non risolve necessariamente il problema: circa il 30 per cento dei detenuti sono senzatetto e potrebbero trovarsi a vivere per strada, dove sarebbero vulnerabili al virus come dietro le sbarre.