Alla Casa Bianca Il premier Benjamin Netanyahu e il presidente Donald Trump hanno parlato con la stampa prima dell’incontro alla Casa Bianca (Ansa)
Abbandonare l’idea di uno Stato palestinese «andrebbe anche bene» per Donald Trump, che però non nasconde una sua grande ambizione: riuscire a suggellare, lui, esperto in contrattazioni, l’affare più difficile del mondo. La pace in Medio Oriente. La visita di ieri del primo ministro israeliano a Washington non è riuscita a eclissare lo scandalo della “Russian connection”, come l’ha battezzata lo stesso presidente Usa negandone l’esistenza, che minaccia di allargarsi e portare a nuovi colpi di scena. Ma Benjamin Netanyahu, piombato nel corso di un avvio di mandato a dir poco burrascoso, torna comunque in patria con la certezza di aver ritrovato un orecchio amico alla Casa Bianca.
Se Barack Obama ha infatti criticato a più riprese lo scarso impegno israeliano per la pace e sponsorizzato un accordo sul nucleare iraniano che porta a una graduale eliminazione delle sanzioni a Teheran, ieri il suo successore ha condannato «l’odio palestinese» e chiamato l’intesa con l’Iran «uno degli accordi peggiori che io abbia mai visto ». Trump ha quindi promesso che la sua Amministrazione farà di tutto per impedire che l’Iran sviluppi armi nucleari che mettano a rischio la sicurezza dello Stato ebraico.
Il tycoon ha anche ribadito la promessa fatta in campagna elettorale di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme: «Ci stiamo pensando con attenzione. Mi piacerebbe molto. Vediamo cosa accadrà», ha sostenuto il miliardario, che poi si è detto di fatto indifferente alla creazione di una Palestina indipendente, allontanandosi dalla consolidata posizione Usa. Quest’ultima dichiarazione ha confuso i vertici dell’Autorità nazionale palestinese, che due giorni fa avevano ricevuto, in segreto a Ramallah, l’assicurazione personale del neo-direttore della Cia, Mike Pompeo, che la soluzione dei due Stati resta una priorità per la politica estera Usa. E in serata la Presidenza palestinese ha ribadito di rimanere legata alla Soluzione a due Stati. «Mi piacerebbe vedere una soluzione, a due Stati o a uno Stato, non importa », ha concluso vagamente Trump, soccorso da Netanyahu che ha precisato come, piuttosto che trattare con etichette come i due Stati, bisogna trattare della «sostanza». Trump ha però chiesto al primo ministro di Israele di «fermare per un po’» la costruzione di insediamenti nella terra che i palestinesi rivendicano come loro. Salvo poi togliere mordente alla richiesta denunciando come «ingiusta e parziale» la risoluzione con cui il Consiglio di Sicurezza a dicembre condannò l’ampliamento degli insediamenti nei territori palestinesi occupati.
«Israele non ha miglior alleato degli Stati Uniti, e gli Stati Uniti non hanno miglior alleato di Israele», ha cercato di riassumere il premier israeliano, impegnato a trasmettere al mondo un’immagine di ritrovata amicizia fra i due Paesi dopo le burrascose relazioni con Obama e a evidenziare i «valori comuni » e la condivisa minaccia del «terrorismo estremista islamico».
Trump è però riuscito a chiudere la conferenza stampa congiunta senza rispondere alle domande sul caso Russia, che ha già portato alle dimissioni del suo consigliere per la sicurezza nazionale, il generale Michael Flynn, per avere mentito suoi suoi reali rapporti con alcuni diplomatici di Mosca.
La Casa Bianca ha insistito ieri che l’uscita di scena del generale chiude la questione, ma l’intelligence Usa continua a scavare. Alcuni membri della campagna elettorale di Trump sono infatti stati intercettati più volte mentre discutevano con membri dell’intelligence russa per tutto il 2016, fino all’elezione del miliardario. I media Usa scrivono che non è ancora possibile provare se gli uomini di Trump abbiano collaborato con il Cremlino per sconfiggere Hillary Clinton, ma che i servizi segreti non mollano la presa – suscitando le ire del Commander in chief. «Le informazioni vengono date illegalmente ai fallimentari New York Times e Washington Post dalla comunità dell’intelligence (Nsa e Fbi?). Proprio come la Russia – ha scritto Trump in una serie di tweet –. La situazione è molto grave». Intanto per porre un freno all’Amministrazione Trump, un gruppo di parlamentari bipartisan al Congresso ha introdotto un provvedimento che obbliga la Casa Bianca a sottoporre al voto ogni decisione di alleggerimento o annullamento delle sanzioni alla Russia. Allo stesso tempo hanno chiesto di aprire un’indagine interna su Flynn. Mentre il governo si avvia a perdere un altro pezzo: Andrew Franklin Puzder ha deciso ritirarsi dalla candidatura a segretario del Lavoro. Sempre il Congresso ieri ha anche revocato una regola fatta approvare dal l’ex presidente Barack Obama che impediva alle persone con problemi mentali di acquistare armi da fuoco.