sabato 22 gennaio 2022
Il sanguinoso attacco ad Hassaké denota una ripresa ancora più vistosa delle attività sul campo, anche se già lo scorso anno i raid erano stati 2.705. Tra Damasco e Baghdad il gruppo ha 10mila uomini
La prigione gestita dai curdi ad Hassaké in cui sono rinchiusi i detenuti del Daesh: lìimmagine è dell'ottobre 2019. L'altro giorno è stata attaccata dai jihadisti

La prigione gestita dai curdi ad Hassaké in cui sono rinchiusi i detenuti del Daesh: lìimmagine è dell'ottobre 2019. L'altro giorno è stata attaccata dai jihadisti - Ansa

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Escalation di attacchi del Daesh nel teatro originario in cui è nato, ossia l’area siro-irachena. La fazione ha colpito ripetutamente, e in grande stile, proprio mentre gli esperti stilavano il bilancio degli attacchi del 2021. Il gruppo – segnala l’esperto Tore Hamming – ha condotto 1.127 operazioni in Iraq, 415 in Nigeria, 372 in Afghanistan, 368 in Siria e 125 nel Congo.

A sua volta il Meir Amit Terrorism and Intelligence Information Center ha registrato 2.705 attacchi, dato di poco differente rispetto all’anno precedente (2.781). Le azioni dei terroristi hanno provocato, a livello globale, 8.147 tra morti e feriti; un po’ meno dei 9.075 registrati nel 2020.

Un rapporto dell’Onu, pubblicato l’anno scorso, informa che il Daesh «mantiene una presenza largamente clandestina in Iraq e in Siria e conduce un’insurrezione marcata nella zona a cavallo della frontiera» in cui disporrebbe «in tutto di 10mila combattenti attivi».

In Siria, l’ultima azione terroristica del gruppo è avvenuta nella notte tra giovedì e venerdì nel nordest del Paese, sotto controllo curdo. Si tratta, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani (Osdh) basato a Londra, dell’azione «più clamorosa mai condotta dal Daesh sin dalla sua cacciata dalla zona nel 2019».
Obiettivo dell’attacco il centro di detenzione di Ghweiran, vicino Hassaké, in cui sono rinchiusi circa 2.500 jihadisti.

Gli assalitori hanno fatto detonare una prima autobomba all’ingresso di quello che viene definito come «l’Alcatraz siriano», poi un’altra nelle vicinanze prima di assalire le guardie curde per tentare di aprire una breccia e liberare i loro compagni detenuti. L’ultimo bilancio, ancora provvisorio, parla di quasi 90 morti: 28 miliziani curdi, 56 jihadisti e 5 civili uccisi, ma gli scontri erano ancora in corso con gli elicotteri Usa alla ricerca dei fuggitivi. Mercoledì, almeno quattro morti sono stati invece registrati in un attacco del Daesh nella zona di Palmira contro una postazione di Fatimiyyun, una milizia filo-iraniana composta da sciiti afghani.

In Iraq, e nelle stesse ore, era in corso un attacco dei jihadisti contro una base dell’esercito nella provincia orientale di Diyala, con 11 militari morti. Baghdad aveva proclamato la sconfitta del Daesh alla fine del 2017, ma diverse cellule del gruppo sono attive lungo 240 chilometri, nelle zone rurali tra Baghdad e Kirkuk. L’analista iracheno Imad Allou ritiene che il Daesh «stia tentando di riorganizzare le sue truppe in Iraq», nel momento in cui le forze irachene non possono più contare sull’appoggio militare della coalizione militare anti-Daesh guidata dagli Stati Uniti.

Gli effettivi della coalizione, che contano 3.500 soldati di cui 2.500 americani, ha messo fine l’anno scorso alla sua «missione di combattimento» e si limitano ormai a un ruolo di addestramento e di consulenza.



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