giovedì 30 gennaio 2025
Il padre francescano Bahjat Karakach: ci sono azioni violente non contro i cristiani ma contro altre minoranze, alcuni gruppi armati non sono in sintonia con il governo
Festeggiamenti ieri sera a Damasco dopo che il leader siriano Ahmed al-Sharaa (deposto il nome di battaglia di al-Jolani) si è autoproclamato presidente e ha sciolto il Parlamento

Festeggiamenti ieri sera a Damasco dopo che il leader siriano Ahmed al-Sharaa (deposto il nome di battaglia di al-Jolani) si è autoproclamato presidente e ha sciolto il Parlamento - Ansa

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«In Siria si vive in una sorta di ambiguità: manca una visione chiara su come arrivare a uno Stato di diritto. C’è un discorso ufficiale molto rassicurante, un forte impegno per ristabilire rapporti internazionali. Una condizione indispensabile e le nuove autorità fanno bene a chiedere la rievoca delle sanzioni, ma manca una “road map” su come arrivare a uno Stato di diritto» spiega ad Avvenire il padre francescano Bahjat Karakach, parroco di Aleppo e rappresentante della Custodia di Terra Santa per la Siria. Il sacerdote parla a poche ore dalla proclamazione di al-Jolani come presidente e lo scioglimento delle istituzioni compreso il Parlamento.

Tappa fondamentale, di questa transizione politica, le elezioni. Padre Karakach, il governo ad interim è in carica fino a marzo: poi si andrà alle urne?

No, assolutamente no. L’attuale governo, composto prevalentemente da membri di Hts, è in carica fino al primo marzo, data in cui si dovrà formare un nuovo governo provvisorio con tutte le componenti della società e guidare il Paese verso le elezioni. E prima di tutto, dicono, bisogna fare un censimento: una operazione molto difficile con milioni di profughi all’estero e sfollati interni. Tutto questo è comprensibile, ma sinora nessuna scadenza, nessun progetto chiaro.

Neanche una data indicativa?

Nessuna data, ma dicono non prima di tre o quattro anni.

Intanto la Siria è in una gravissima emergenza economica. Dopo l’8 dicembre la gente intuisce un futuro migliore?

I cambiamenti sono paradossali, alcune materie prime sono scese di prezzo, troviamo più facilmente carburante e gas, ma la gente è più povera perché non sono stati pagati gli stipendi dei dipendenti pubblici, centinaia di migliaia di persone sono state licenziate.

Abu Muhammad al-Golani ha promesso una Siria inclusiva, tollerante, non fondamentalista. Impegno sinora rispettato o ci sono state violenze e segnali di radicalizzazione?

Non ci sono violenze contro noi cristiani ma questo non significa che sul terreno l’inclusione sia implementata come si deve, e noi cristiani abbiamo il dovere di pensare a tutti. Ci sono azioni di violenza contro altre cosiddette “minoranze”, e molti gruppi armati non sembrano in sintonia con il governo. Il maggiore problema è che finora non ci sono criteri chiari per processare i criminali di guerra e quindi, con questa pretesa, si fanno incursioni nelle case e si commettono vendette crudeli.

E sui social girano immagini di esecuzioni sommarie di ex ufficiali del regime…

Non ne ho viste personalmente, però anche a me è stato inviato questo materiale. Senza processi legali, non si sa chi siano queste vittime: è molto facile dire che sono criminali di guerra o ex generali del regime.

E non vi è stato nessun tentativo di imporre la sharia?

Non ci sono direttive ufficiali, ma i nuovi arrivati nelle istituzioni, persone di un orientamento religioso molto conservatore se non estremista, hanno quasi piena libertà di licenziare, di assumere. E anche di imporre comportamenti, come separare le donne dagli uomini sui bus. Non sono provvedimenti ufficiali ma esiste questa deriva: per questo ci aspettiamo leggi chiare che mettano in pratica la tolleranza di cui si continua a parlare.

Come aiutare la “road map” verso la democrazia?

La comunità internazionale deve starci molto vicino perché è molto facile che la Siria ricada nel caos: la situazione sociale è molto delicata mentre quello che vogliamo è uno Stato laico in cui la legge sia rispettata da tutti.

A quasi due mesi dalla caduta di Assad c’è più speranza o prevale la preoccupazione?

Con il regime si era in un tunnel senza luce, oggi c’è una grande opportunità, ma molto dipende dalla maturità dei siriani nel non cadere in vendette e violenze. Molto dipende anche dalla comunità internazionale perché a volte gli interessi internazionali prevalgono su quelli del popolo: la paura è che la comunità internazionale arrivi a un compromesso per garantire certi interessi, ma non consenta ai siriani di vivere in uno Stato democratico. Se fosse così, dovremo vivere altri decenni in uno stato di repressione.

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