giovedì 6 gennaio 2011
Dopo la morte di un agente egiziano per mano dei trafficanti, una sparatoria ha coinvolto un giovane in fuga verso Israele Don Mosé Zerai: un dramma nel dramma. Le Ong: non sono servite le rassicurazioni del governo a favore dei rifugiati. Si cercano i nascondigli dei predoni, anche sottoterra.
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«Sul Sinai si sta consumando un dramma nel dramma». Le parole di don Mosé Zerai, il sacerdote eritreo che da oltre un mese sta sostenendo la causa di centinaia di connazionali sequestrati in Egitto, tradiscono la tensione delle ultime ore. Gli scontri a fuoco tra le forze di polizia di Rafah, la cittadina in cui sono detenuti ancora decine di africani, hanno causato due morti nella sola giornata di domenica.Oltre al giovane agente egiziano ucciso dai trafficanti durante una sparatoria, anche un eritreo avrebbe perso la vita nel corso di un’analoga operazione di polizia, condotta sempre al confine con Israele. Il giovane sarebbe stato colpito mentre tentava di attraversare la frontiera da una pattuglia di guardia, in una zona non molto distante rispetto a quella in cui si consumava lo scontro a fuoco che è costato la vita al poliziotto egiziano. La notizia, che era filtrata già martedì, è stata riferita ieri integralmente da alcune Ong che operano sul posto e stanno seguendo la difficile trattativa tra le autorità locali e le bande criminali del Sinai. «Ci eravamo illusi che le forze di polizia locali avessero modificato il loro modo di operare, iniziando a perseguire i predoni – ha spiegato il copresidente del gruppo EveryOne, Matteo Pegoraro –. Evidentemente la circolare ministeriale che imponeva alle forze dell’ordine di non sparare sui rifugiati non ha avuto seguito».Il rischio di episodi di violenza in campo aperto rende ovviamente più difficile la soluzione del negoziato in tempi brevi, col minor danno possibile per le persone in ostaggio. La situazione più grave è quella di alcune donne sottoposte a violenza da parte dei carcerieri: sei in particolare sarebbero in condizioni critiche. Dei 40 uomini liberati dai trafficanti, invece, 16 sono ufficialmente arrivati in Israele, Paese divenuto ormai méta obbligata per chi dall’Africa, in fuga dal proprio Paese, vuole chiedere asilo politico rinunciando a un viaggio pieno di insidie verso l’Europa.«Di un centinaio di persone non sappiamo nulla – continua don Mosé – ed è assai probabile che siano stati spostati in un’altra località, non lontana dal luogo di detenzione iniziale». È proprio in direzione di nuovi possibili nascondigli, anche sotterranei, che si starebbero indirizzando le ricerche delle forze dell’ordine. Le bande di trafficanti che comprano e vendono esseri umani, nella zona, sono circa una ventina e intorno ad esse è fiorito un business dell’orrore assai florido, che va dalla riduzione in stato di schiavitù di donne e bambini al mercato della prostituzione fino al traffico di organi. Un dramma nel dramma, che si consuma lontano dagli occhi del mondo.
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