Alla fine la tanto attesa risposta della Corte di giustizia europea in merito alla brevettabilità delle cellule embrionali umane è arrivata: non è brevettabile un procedimento che, ricorrendo al prelievo di cellule staminali ricavate da un embrione umano allo stadio di blastocisti, comporta la distruzione dell’embrione stesso. È l’ultimo passaggio della controversia legale iniziata quando Greenpeace nel 1999 denunciò l’ottenimento di un brevetto da parte del neuropatologo tedesco Oliver Brüstle per produrre cellule neurali da staminali embrionali umane di una linea stabilizzata e commercialmente disponibile. La Corte europea reputa che un’invenzione non possa essere brevettata qualora l’attuazione del procedimento richieda, in via preliminare, la distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza. «Sentenza illuminata», commenta con soddisfazione Angelo Vescovi, direttore scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, che è stato appena insignito del premio «Alumnus of the year 2011» da parte dell’Hotchkiss Brain Institute, centro di eccellenza per le neuroscienze dell’università canadese di Calgary.
«L’elemento centrale della sentenza – spiega – è che la vita umana non può essere sfruttata per fini commerciali, e questo è un principio eticamente condivisibile e importante. Non solo: questa decisione mette in luce l’aggravante della causalità in ciò che si vieta, ossia come non solo non si possa distruggere un embrione ma, meno che mai, costruirlo apposta con questa finalità. Si stabilisce, poi, che la vita comincia con la fecondazione dell’ovulo. Ora mi aspetto reazioni già viste». Che impatto avrà, infatti, la sentenza sul fermento che continua a circondare il settore delle staminali embrionali? «La soddisfazione morale che provo – continua Vescovi – è legata al fatto che, finalmente, anche dalla legge arriva un incitamento a svegliarsi, perché si capisca che è tempo di cambiare strategie politiche e bioindustriali. Non ha più senso continuare a investire sugli embrioni: ora l’alternativa c’è ed è data dalla tecnica della riprogrammazione delle cellule adulte sulla quale da tempo ha puntato la ricerca mondiale. Sono cellule più maneggevoli anche per la pratica industriale perché ottenibili in quantità elevate, utilizzabili sul paziente senza rischio di rigetto. A chi griderà all’oscurantismo del Vecchio continente, io rispondo che dimostra un’incompetenza tecnico-scientifica enorme. La ricerca non si ferma affatto perché la strada vincente, anche per l’industria, è la riprogrammazione».