Attorno allo stesso tavolo, come si temeva alla vigilia, i pro-Assad e l’opposizione ieri non si sono mai seduti: sfumata, dopo una raffica di dichiarazioni minacciose, pure una riunione introduttiva congiunta. «L’incontrò avverrà in due stanze separata e Brahimi parlerà ad ogni parte separatamente. Prima alla delegazione del regime e poi a quella dell’opposizione », facevano sapere a metà mattina fonti diplomatiche.
L’opposizione che ha sostituito in corsa il capo delegazione – Badr Jamous, segretario generale della Coalizione nazionale siriana al posto del presidente Ahmed Jarba – voleva, da parte di Damasco, la sottoscrizione della dichiarazione di Ginevra 1 che chiede la forma- zione di un governo di transizione di unità nazionale quale pre-condizione irrinunciabile. Immediata la replica del vice- ministro degli Esteri siriano Faysal Miqdad ai giornalisti presenti a Ginevra: il governo siriano non è disposto a cedere il potere e «sogna chi pensa di discutere la rimozione del presidente Bashar al-Assad». «Siamo qui per negoziare dei cessate il fuoco», ha aggiunto.
Questa la polemica come premessa a una veloce oro di colloquio fra il ministro degli Esteri Walid al-Muallem e il mediatore Brahimi. Al termine il minaccioso monito del rappresentante di Damasco: o il confronto «diventerà serio» entro 24 ore o i rappresentanti di Damasco oggi lasceranno Ginevra. Nel pomeriggio, mentre l’opposizione era riunita con Brahimi, dal Worl economic forum di Davos giungeva l’avvertimento – sempre lo stesso – da parte del segretario di Stato statunitense John Kerry: il presidente siriano Bashar al-Assad «non può far parte del futuro» del suo Paese perché ha perso la sua legittimità «uccidendo e gasando» il suo popolo, quindi non potrà esserci «stabilità senza di lui».
Poco prima sempre da Davos, il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif chiedeva a «tutti i combattenti stranieri » compresi gli Hezbollah libanesi alleati di Assad, di lasciare la Siria, «perché non c’è una soluzione militare al conflitto». Inviti a una tregua regionale, sia pure con prospettive opposte, condivisi pure dal rappresentante dell’Arabia Saudita Turki al-Faisal che polemizzando con Washington chiedeva una risoluzione delle Nazioni Unite che spingesse «le milizie irachene e libanesi» fuori dalla Siria. Forse un concerto internazionale per imporre una tregua o almeno l’apertura di corridoi umanitari, obiettivo minimo nella tragedia del popolo siriano.
L’ultima quella nel campo profughi di Yarmuk, alla periferia di Damasco, dove 63 persone, tra cui donne e bambini, sono morte di fame e stenti negli ultimi tre mesi, stando l’Osservatorio nazionale per i diritti umani. Il campo da oltre un anno è assediato dalle truppe del regime e teatro di scontri tra miliziani ribelli e lealisti. A sera, però, Brahimi poteva segnalare un piccolo passo in avanti: «Ho incontrato separatamente le due delegazioni » e ora ci aspettiamo «che si incontreranno direttamente nella stessa stanza», ha spiegato Brahimi. «I colloqui con le due parti sono stati incoraggianti». La base dei negoziati diretti saranno le conclusioni di Ginevra 1. Brahimi pensa che «le due parti lo abbiano compreso molto bene e lo accettano». Nessuno, ha assicurato, lascerà Ginevra nel week end. Piccoli passi, ma in avanti.