Netflix è la piattaforma di streaming più famosa al mondo ed è arrivata in Italia a fine 2015, offrendo abbonamenti che variano in funzione della qualità di riproduzione e del numero di strumenti utilizzati. In catalogo ha tante serie tv, diverse autoprodotte, film e anche show. In ottobre Netflix ha raggiunto quota 137 milioni di abbonati nel mondo e si accinge a sperimentare fuori dagli Usa nuove forme di abbonamenti a prezzi di saldo per lo streaming di film e programmi solo su cellulare. Per il 2019 però le sfide a livello di catalogo sono tante: Disney ad esempio ritirerà i propri film da Netflix, in vista del lancio del proprio servizio, ma anche altre compagnie si stanno adoperando per adottare lo stesso modello. La società ha fatto sapere che per fare fronte a tale fenomeno ha messo su un team apposito allo scopo di rendere il catalogo quanto più possibile indipendente. Al Festival del Cinema di Venezia, lo scorso settembre, ha trionfato un film prodotto proprio da Netflix, «Roma» di Alfonso Cuarón. Il film è stato oggetto di una distribuzione limitata. In Italia gli spettatori hanno potuto vedere il film al cinema solo per pochi giorni prima che fosse trasmesso in streaming, circostanza che ha suscitato polemiche.
Autocensura o mero rispetto delle leggi locali? Quel che è certo è che sta suscitando forti polemiche la decisione della piattaforma di streaming statunitense Netflix di rimuovere un episodio di una trasmissione satirica dal proprio servizio in Arabia Saudita perché ironiz- zava sulle giustificazioni di Riad in merito all’omicidio del giornalista e dissidente Jamal Khashoggi. In un episodio del varietà “Patriot Act with Hasan Minhaj”, il conduttore parlava così di quanto accaduto al reporter, ucciso nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre: «A Riad hanno dato così tante versioni che l’unica cosa che non hanno detto è che Khashoggi è morto in un incidente di arrampicata libera su roccia ».
Nell’episodio, il conduttore indiano-americano criticava anche le autorità saudite per il loro coinvolgimento in Yemen, descrivendo il regime come autocratico. «Sarebbe un buon momento per rivalutare la nostra relazione con l’Arabia Saudita. E lo dico in quanto musulmano e americano », aggiungeva Hasan Minhaj nell’episodio andato in onda per la prima volta a ottobre, a ridosso dell’uccisione dell’editorialista del Washington Post. Secondo il Financial Times, la Commissione per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione del Regno ha chiesto che l’episodio fosse rimosso per violazioni delle leggi contro i reati informatici del Paese, mentre Amnesty International ha apertamente denunciato «la censura saudita di Netflix» come «ulteriore prova di un implacabile giro di vite sulla libertà di espressione».
La compagnia americana, che opera nella distribuzione via Internet su abbonamento di film, serie televisive e altri programmi di intrattenimento, ha evitato da parte sua di parlare di censura. «Sosteniamo fortemente la libertà artistica e abbiamo rimosso questo episodio solamente in Arabia Saudita dopo aver ricevuto una valida richiesta legale» ha replicato un esponente di Netflix, aggiungendo di aver agito nel rispetto delle leggi locali anche se questa mossa «non significa che siamo d’accordo con queste leggi». Lo stesso portavoce ha aggiunto che il governo saudita non ha chiesto alla compagnia (almeno per ora) di rimuovere il video incriminato su YouTube. Secondo Samah Hadid, direttore per le campagna in Medio Oriente di Amnesty International, le autorità saudite già in passato «hanno usato le leggi contro il cyber- crimine per silenziare i dissidenti, creando un ambiente di paura nei confronti di chi osa parlare apertamente in Arabia Saudita».
«Nell’inchinarsi alle autorità dell’Arabia Saudita – ha aggiunto ancora Hadid – Netflix rischia di facilitare la politica di tolleranza zero sulla libertà di espressione e di sostenere le autorità nel negare i diritti delle persone ad accedere liberazione alle informazioni». Khashoggi è stato critico nei confronti del principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs). Dopo varie versioni, il regno ha riconosciuto che il giornalista è morto sotto la sua custodia, anche se le autorità saudite hanno negato di aver ordinato l’omicidio. La versione saudita rimane quella di una «operazione non autorizzata » e di cui Mbs, considerato da più parti il probabile mandante, «non era stato informato». Khashoggi era entrato nel consolato saudita per ottenere alcuni documenti: il suo cadavere è stato fatto sparire. Un brutale omicidio che ha messo a dura prova anche i rapporti tra Riad e Washington. Perché quando l’inchiesta ha puntato su Mbs, è stato difficile per Donald Trump continuare a sostenere l’alleato e partner di affari. Il volto di Jamal Khashoggi è stato poi stampato sulla copertina di Time come persona dell’anno. E la sua fine non ha ancora smesso di far discutere.