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Da più di dieci anni, l’unico contatto fisico che John Henry Ramirez sperimenta è quello con le guardie carcerarie, nel momento in cui mettono ai suoi polsi le manette. L’uomo è in carcere dal 2007 e ora attende l'esecuzione della condanna a morte nel penitenziario Allan B. Polunsky Unit, in Texas. La sua esecuzione era prevista l’8 settembre ma è stata rimandata per un motivo che ha molto a che fare proprio con il contatto fisico. L’uomo ha da poco fatto causa allo Stato texano, che non ha accolto il suo ultimo desiderio: che il pastore Dana Moore, di una chiesa battista, possa entrare con lui nella camera della morte e nel momento dell'iniezione letale stringergli la mano (o toccargli la spalla) e pregare per lui.
"Sarebbe confortante", ha detto Ramirez. Vista la sua azione legale, l’esecuzione è stata rimandata. Secondo il suo avvocato, il rifiuto ricevuto è una violazione del diritto ad esercitare la religione nel momento in cui tale pratica è più necessaria: la morte è il passaggio in cui “la maggioranza dei cristiani crede che salirà in paradiso o scenderà all’inferno”, scrive il Guardian riportando le parole dell’avvocato.
Il New York Times racconta il rapporto tra i due uomini. Se dovessero descrivere la loro relazione, lo farebbero con le parole del Vangelo di Matteo: “Ero malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a visitarmi”. Da quattro anni, i due parlano di fede e vita attraverso un plexiglass nei momenti concessi ai carcerati per incontrare persone esterne alla prigione. Quando pregano, le loro mani si cercano e si sovrappongono, ma in mezzo rimane una barriera che li separa.
La corte suprema degli Stati Uniti ha deciso che il caso del signor Ramirez verrà discusso a ottobre o a novembre. Secondo il pastore Moore, permettere un contatto fisico al momento di morte del detenuto è fondamentale: “Il tocco umano è più di qualcosa di fisico. È il modo con cui Dio ci ha creato”. E aggiunge Moore: i miracoli di Gesù sono avvenuti attraverso il contatto.
John Henry Ramirez è stato condannato a morte per aver ucciso nel 2004 Pablo Castro. Ubriaco e drogato, era in macchina con due amiche e cercava qualcuno da rapinare. In quel momento, il signor Castro portava la spazzatura fuori dal minimarket in cui lavorava. Ramirez lo ha ucciso con 29 coltellate. Poi è stato latitante fino al 2007, anno in cui è stato catturato al confine con il Messico. L’infanzia di Ramirez è segnata da abusi, povertà e instabilità. Elementi che non considera una giustificazione per le sue azioni: “Ci sono molte persone che vivono così e anche peggio, ma non finiscono condannati a morte, non diventano assassini”, ha detto al Nyt.