Erdogan (sinistra) e Putin a Sochi (Ansa)
Vertice a due a Sochi, fra Recep Tayyip Erdogan e di Vladimir Putin. Un faccia a faccia, a soli dieci giorni di distanza da quello di Teheran del 7 settembre (presente allora anche il presidente della repubblica islamica Hassan Rohani), che muove un primo faticoso passo verso la tregua in Siria.
L’operazione militare a Idlib, fa sapere a vertice appena concluso il ministero della Difesa russo, non si farà. L’intesa prevede, dichiara lo stesso Putin, la creazione di una «zona demilitarizzata» profonda 15 o 20 chilometri che sarà pattugliata «dalle forze armate turche e dalla polizia militare russa». I gruppi armati, sia i ribelli sia i miliziani di al-Nusra, dovranno ritirare «uomini, artiglieria e mezzi pesanti » entro il 10 ottobre mentre la zona demilitarizzata dovrà essere creata al massimo entro «il 15 ottobre». Un nuovo vertice a Sochi, in una corsa contro il tempo, per ferma- re l’opzione militare del regime di Assad contro l’ultima ridotta dei ribelli nel nord della Siria. Così, decollando in mattinata da Ankara, era il 'reis' Erdogan a chiedere una «soluzione » capace rilanciare l’opzione diplomatica: «Se la situazione a Idlib resta com’è, i risultati saranno pesanti», avvertiva. Per questo, aggiungeva Erdogan entrando nel palazzo presidenziale di Sochi, servirebbe una «solidarietà » sui grandi temi, capace di dare «speranza » alla regione. Una lunga trattativa conclusa con un segnale importante del Cremlino. Gli appelli del Papa e delle maggiori organizzazioni internazionali a evitare una possibile catastrofe umanitaria pare abbiamo raggiunto un primo risultato.
Idlib è una delle quattro aree di de-escalation (con Homs-Hama, Daraa e Ghouta) concordate da Russia, Iran e Turchia nel negoziato di Astana. Roccaforte del gruppo terrorista Hayat Tahrir al-Sham (affiliato ad al-Qaeda) e di altre milizie, Idlib è soprattutto la città nella quale sono stati ricollocati gli oppositori di Assad dopo il loro trasferimento forzato da Aleppo e, più di recente, dalla Ghouta.