Un militare ucraino nel villaggio di Avdiivka lungo la linea di separazione con la zona filo-russa di Donetsk - Ansa
Tutta l’attenzione della comunità internazionale è concentrata lì, lungo il confine oltre cui stazionano le truppe russe, secondo alcune fonti 120mila uomini. Eppure, a pochi chilometri dalla linea del fronte che nella regione ucraina del Donbass tormenta le vite della popolazione già da quasi 8 anni, separando i territori rimasti sotto il controllo di Kiev dalle aree nelle mani dei ribelli filo-russi, la vita procede quasi normale. Una tavola rotonda sulla violenza domestica a Chasiv Jar, nell’oblast di Donetsk, l’apertura di un nuovo presidio per la vaccinazione anti Covid-19 al check point di Novotroitske nella stessa regione, un corso di arteterapia nel distretto di Severodonetsk, a meno di 5 chilometri dalla linea di demarcazione nella regione di Luhansk, dove un gruppo di signore anziane si riunisce con gli psicologi di una Ong locale per tentare di alleggerire, con l’arte, il peso di anni di conflitto. «La vita va avanti, viviamo come sempre, tranne per il fatto che tutti i media parlano dell’ipotesi di un attacco russo, soprattutto contro la città di Kharkiv. Noi non ci stiamo preparando a questa eventualità, almeno non io, né la mia famiglia né amici e colleghi», ci ha raccontato ieri Tamara Kochoieva, 29 anni, residente a Slovyansk, a un passo dalla zona cuscinetto che corre lungo la linea del fronte.
La sua cittadina porta ancora i segni dei colpi della violenta battaglia del 2014. Il giornale economico locale, il “Business Sloviansk”, mercoledì ha diffuso i risultati di un sondaggio svolto tra i lettori sul rischio di un’invasione russa. Del campione pur limitato dei 102 partecipanti, 60 hanno risposto di considerarla solo una congettura, 17 un’esagerazione. «Non parlo spesso di questo argomento con gli amici», prosegue Tamara Kochoieva. «Certo, nessuno sa cosa accadrà domani e il ritiro del personale diplomatico da parte di alcuni Paesi ci ha allarmato. Temiamo che gli investitori stranieri lascino l’Ucraina». Per quanto la calma apparente possa sorprendente chi la osservi dall’esterno, sarebbe la prova di come negli ultimi anni «il senso di normalità degli ucraini sia stato alterato». Lo sostiene Oleksiy Melnyk, analista al Razumkov Centre di Kiev. «Molti in Occidente tendono a dimenticare che la guerra è in corso già da quasi 8 anni e che quello a cui assistiamo oggi non è l’inizio di un conflitto, ma potrebbe essere una rinnovata ondata di violenza. Per gli ucraini, invece, questo è un punto ben chiaro, una questione di vita quotidiana», spiega al telefono. «Ogni nuova escalation è percepita come qualcosa che farà peggiorare ciò che va già male». Parla di una «calma relativa», «senza panico per le strade, né file per gli approvvigionamenti nei supermercati. Una sensazione di quiete in superficie che, certo, è preoccupazione e che fa compiere azioni per prepararsi al peggio».
Parla di un’ansia che sorgeva quando le armi tacevano. «Perché, dopo una fase di silenzio, non sai mai davvero cosa devi aspettarti».